IL SIGNIFICATO DEI ‘SANTI SEGNI’ – prima parte

A CURA DELLA REDAZIONE

Si nota una crescente richiesta da parte dei fedeli di conoscere il significato dei ‘santi segni’ per poterli vivere con più frutto nella celebrazione liturgica. Abbiamo ritenuto quindi opportuno il ricorso ad un autore classico della mistagogia, che con brevità e semplicità di linguaggio ha saputo introdurre (mistagogia) i semplici e i colti nel significato spirituale dei simboli liturgici. Presentando alcune pagine del libro di Romano Guardini “I santi segni” [1] intendiamo rispondere ad alcuni tra i tanti interrogativi posti in diverse occasioni e modalità dai nostri buoni cristiani e fedeli lettori.

  1. Qual é il senso di questa avvertenza di Guardini sui gesti corporali: “procura che l’intimo tuo spirito coincida davvero con (…) [un] atteggiamento esteriore!”.

Il formalismo si configura nella separazione tra un atto esteriore e i sentimenti interiori corrispondenti, l’autenticità invece si realizza quando all’atto esteriore corrisponde in modo coerente il sentimento interiore. Al contempo vi è un reciproco influsso i gesti corporei stimolano e irrobustiscono i sentimenti interiori mentre i sentimenti interni rivestono di calore e tonificano gli stessi gesti esterni del corpo. Vi è quindi un beneficio reciproco e una circolarità che non può mai interrompersi. Senza questo servizio reciproco dei due interventi si cade o nel formalismo o nell’intimismo. La liturgia invece richiede la loro compresenza che sola crea l’autenticità. Guardini descrive bene il rapporto interiorità ed esteriorità nel gesto liturgico quando afferma: “Quando pieghi il ginocchio, non farlo né frettolosamente né sbadatamente. Dà all’atto tuo un’anima! Ma l’anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi davanti a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi  davanti all’altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente…Ciò infatti è umiltà ed è verità e ogni volta farà bene all’anima tua” (p. 132).

  1. Qual é il contenuto simbolico dell’inginocchiarsi?

Guardini non fa’ che richiamare un’esperienza intuitiva e psicologica, secondo la quale l’inginocchiarsi e la sua forma più estrema il prostrarsi a terra, come anche quella iniziale del’inchino di capo e di corpo, produce un senso di sottomissione, di obbedienza, di consegna di sé, di riconoscimento di eccellenza e di stupore di chi ci sta davanti, di contemplazione, di riconoscenza, di adorazione e anche di penitenza e richiesta di perdono connesso al senso del peccato. “Cosa fa una persona quando s’inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l’intera figura…Quando uno invece è di nobile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli si abbassa” (p. 131). Attualmente la riflessione di Guardini su questo santo segno non ha molto interesse, anzi sembra si voglia dichiarare l’inginocchiarsi un atteggiamento non solo superato, ma anche scorretto. Infatti, un’insistenza indebita sullo stare eretti in piedi, come segno della dignità dei risorti, ha portato non a ridimensionare in modo equilibrato l’inginocchiarsi, ma ad eliminarlo, quando addirittura a screditarlo. L’assenza dell’ inginocchiatoio in certe chiese nuove ne è la traduzione pratica. Il papa Benedetto XVI nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia, certamente educato dal Guardini, ha ribadito la necessità del gesto e soprattutto quanto questo sia radicato, non solo nella religiosità naturale, ma anche nella Bibbia e negli esempi inconfutabili di Cristo Gesù, degli Apostoli e della più antica Tradizione liturgica.

  1. Perché sono importanti i gradini in una chiesa?

Guardini ricorda la presenza dei gradini in tre punti nodali dello spazio sacro: i gradini del portale di ingresso alla chiesa, i gradini di accesso al presbiterio e i gradini di salita all’altare. Vi è quindi una graduale ascensione verso l’alto dell’intera persona: il corpo, le braccia e lo sguardo. Per una intuizione naturale e universale l’alto è il luogo dove abita Dio e dal quale giunge a noi la sua voce e la sua salvezza. I gradini quindi sono una struttura fisica e visibile, che spinge lo spirito, mediante l’ascensione corporale, verso le altezze della preghiera e dell’offerta del sacrificio. “Quando saliamo i gradini, non sale soltanto il piede, bensì anche tutto l’essere nostro. Anche spiritualmente noi saliamo. E se lo facciamo consapevolmente, presentiamo di ascendere a quell’altezza dove tutto è grande e compiuto; cioè al cielo dove abita Dio” (p. 144). Si tratta di vedere se nel contesto ecclesiale odierno vi sia ancora il ‘santo segno’ dell’ascendere e se sia ancora possibile realizzarlo mediante i gradini rituali. Sembra che, in nome di una creatività totalmente dissociata dalla tradizione liturgica, né alla chiesa si acceda con gradinate, né al presbiterio e ancor meno all’altare. Siamo oggi ad un totale livellamento giustificato da teologie a tendenza orizzontale-antropocentrica e anche in nome di favorire le categorie diversamente abili. La questione deve essere ripensata.

  1. C’è un rapporto tra il segno della Croce con l’acqua benedetta ed il Battesimo.

Soltanto la posizione e la forma del recipiente dell’acqua benedetta (pile dell’acqua benedetta o acquasantiere) ricordano il Battesimo. Infatti, la pila dell’acqua benedetta sta all’ingresso della chiesa come il battistero e, ad immagine del battistero, è una conca marmorea simile alla vasca battesimale. Identica è quindi anche la funzione simbolica: come col battesimo si entra nella Chiesa di pietre vive, così ogni volta che si entra in chiesa ci si ricorda del dono del battesimo e lo si riconosce come la tessera di ingresso nel popolo di Dio. Attingendo l’acqua nella conca marmorea si intende quasi rinnovare quella vita di grazia che nel fonte battesimale abbiamo ricevuto. Il ricordo non è soltanto psicologico, ma ha una valenza sacramentale in quanto per intercessione della Chiesa la grazia battesimale viene come vivificata e potenziata. L’Autore porta all’evidenza un aspetto, che nell’odierna mentalità, sembra essere scomparso, ossia l’influsso demoniaco sulla natura e la convenienza delle benedizioni come strumenti soprannaturali per la rigenerazione del creato. Ecco le considerazioni di Guardini: “Nella natura, in tutta la sua ricchezza e bellezza, vi è anche il male, il demoniaco. La città intontitrice delle anime ha reso l’uomo ottuso al punto ch’egli spesso non ha più senso per questo. La Chiesa però non lo ignora e purifica l’acqua da ogni elemento contrario a Dio, la consacra e prega Dio che la renda strumento della Sua grazia” (p. 156).

  1. Cosa a che vedere simbolicamente la fiamma accesa con la vita spirituale del cristiano?

La fiamma è l’immagine viva della vita che pulsa piena di calore e movimento. Lì dove arde il fuoco si crea un senso di presenza, la luce porta sorriso e serenità e il calore crea benessere e pace “Sì, il fuoco ha parentela con i viventi: è il simbolo più puro della nostra anima, è fervida vita” (p. 159). Essa simboleggia quell’irresistibile anelito verso l’alto, come spinta insita in noi e sempre in attrito con ogni tentativo di spegnimento “Quando vediamo la fiamma senza posa lingueggiare, sensibile ad ogni corrente d’aria, ma tenace nel mantenere la sua direzione verso l’alto…noi sentiamo una profonda parentela con quell’elemento che in noi pure arde senza interruzione ed è luce e tende all’alto, nonostante venga respinto in basso tutt’attorno dalle potenze avverse?” (p. 160). Ma è la perennità della lampada che arde presso il tabernacolo che colpisce il Guardini e vi vede una singolare rappresentazione della nostra anima credente, che dovrebbe sostare con generosità davanti al Signore vivo e vero nel sacramento. La sua immagine suscita quei sentimenti di fedeltà, amore, adorazione e umiltà che trapelano dalla lampada perenne. “La lampada là, nella lampada eterna – non ci hai ancora pensato? – Sei tu! Essa significa l’anima tua” (p. 160). L’interpretazione spirituale del ‘santo segno’ è evidente. Si tratta però di verificare se tale segno sia vero e nobile presso i nostri tabernacoli. Una luce elettrica, senza vita, non reca più i segni dell’autenticità e la forza simbolica della fiamma viva con quei molteplici effetti, che l’Autore sa genialmente descrivere. Così, una lampada lontana dal tabernacolo, senza un evidente rapporto con esso, non afferma più il ruolo di prossimità, che l’anima adorante e vigile deve poter realizzare in una intimità eucaristica profonda. Così dove la lampada fosse solo formale in un ambiente freddo, senza cura, gusto e calore non potrebbe che trasmettere la trascuratezza di quella comunità verso il grande Mistero della presenza sacramentale.

  1. Cosa dice Guardini sull’“offrire” a proposito dell’altare e della patena?

L’altare esprime l’offerta da se stesso nel suo stesso essere. Guardini afferma: “La forza più profonda dell’anima è la sua capacità di offerta…di questo nucleo più intimo…l’altare di pietra è il segno visibile”. Per questo l’altare sta in alto e ad esso si accede salendo i gradini, che rendono visibile il moto saliente dell’anima, che sale nella consegna di sé alla Maestà Divina. L’altare rimanda a quell’offerta interiore, che l’uomo esprime nella sua anima, quando di fronte allo stupore delle creature eleva le mani come una patena per offrire al Creatore in rendimento di grazie l’intero universo creato: “Per lui dev’essere come se dalla patena, che le sue mani sostengono, tutto salga terso e santo verso l’alto”. Questa offerta di culto naturale dell’uomo in quanto tale raggiunge la sua pienezza nel Sacrificio sacramentale dell’altare nel quale la patena assume un ruolo simbolico di prim’ordine: “Questa altitudine s’eleva sempre, e sempre si protende la mano divina, e sempre sale il dono, quando il sacerdote – non l’uomo, ché, la persona, è invero strumento insignificante – è all’altare e leva in alto, aperte le palme, la patena su cui è disposto il bianco pane”. La riflessione dell’Autore è oggi di urgente anzi è del tutto necessaria per non perdere nei confronti dell’altare la sua dimensione costitutiva, che è quella dell’ara del Sacrificio. Non assistiamo forse ad una indebita riduzione dell’ara alla semplice mensa? Non è forse in atto una seria crisi della dimensione sacrificale dell’Eucaristia? Guardini in tal senso non ha alcun cedimento, ma ribadisce con sicurezza quell’equilibrio della fede, che è conforme alla retta fede cattolica.   (continua)

[1] GUARDINI, R., Lo spirito della liturgia – I santi segni, 11° edizione, Morcelliana, 2007

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