LA CELEBRAZIONE DELLA QUARESIMA

Via Crucis con papa Benedetto XVI

 

 

don Enrico Finotti

 

Come per gli altri tempi liturgici viene proposta qui una celebrazione ampia e completa dei riti quaresimali.

Si propongono inoltre altre integrazioni rituali che ne esplicano i contenuti, talvolta impliciti, e caratterizzano ulteriormente la Quaresima.

  1. Le celebrazioni della Quaresima
  2. Il Mercoledì delle Ceneri

La celebrazione del Mercoledì delle Ceneri assume particolare incidenza pastorale quando è preceduta dalla procession penitenziale, secondo l’antica tradizione della liturgia romana. In tal modo l’inizio della Quaresima assume un carattere pubblico e sociale, come richiede la natura del tempo.

LA GRAZIA DELLA QUARESIMA

 

Marcello Venusti, discepolo di Michelangelo, sec. XVI

 

  1. La Quaresima, tempo sacramentale

La grazia propria della Quaresima è espressa nella colletta del Mercoledì delle Ceneri che definisce il tempo di Quaresima un sacramentale.

Questa sacramentalità propria dell’anno liturgico in generale e di ogni suo tempo e festa in particolare, è detta esplicitamente e in modo del tutto singolare per la Quaresima.

“O Dio nostro Padre, con la celebrazione di questa Quaresima, segno sacramentale della nostra conversione, concedi a noi tuoi fedeli di crescere nella conoscenza del mistero di Cristo e di testimoniarlo con una degna condotta di vita”.209 

I VESPRI DELLE TENEBRE (prima parte)

GIOVANNI BELLINI – Cristo morto sorretto da due angeli (1460) – Tempera su tavola, 74 x 50 cm, Venezia

don Enrico Finotti

 

I          L’«Ufficio delle tenebre» nella  tradizione liturgica romana

Una delle tradizioni liturgiche più singolari e popolari nel complesso rituale della Settimana Santa, secondo il rito Romano, è la celebrazione simbolica del Tenebrae factae sunt nel contesto dei cosiddetti «Mattutini delle tenebre», come ancor oggi sono previsti dall’ Officium majoris hebdomadae (Vetus Ordo). Si tratta dell’Ufficio notturno (Ad Matutinum) e delle Lodi (Ad Laudes) dei tre giorni del Triduum sacrum, così come era computato nel Vetus Ordo: Giovedì, Venerdì e Sabato santo. Occorre ricordare che la Liturgia del Triduo sacro, in uso fino alla riforma liturgica del Vaticano II, conserva la forma più antica dell’Ufficio romano, quando ancora non erano subentrati elementi più tardivi come l’Inno e la dossologia terminale dei salmi. Ma qual è il motivo per il quale tale Ufficio è chiamato «delle tenebre»? Perché, dopo ogni salmo, si spegne uno dei ceri posti su uno speciale candelabro detto «saetta»: si tratta di una serie di quindici ceri, che vengono estinti durante la salmodia del Mattutino e delle Lodi. L’Ufficio si conclude nell’estinzione totale delle luci, ricordando l’evento evangelico dell’oscurità che avvolse il mondo alla morte del Signore. Un solo cero residuo rimane acceso: tolto dal candelabro e nascosto per qualche istante, ricompare di nuovo sull’altare per annunziare la risurrezione del Signore, luce che vince le tenebre del peccato. L’Ufficio, che in origine veniva cantato nel versante mattutino della notte, venne in seguito anticipato nella sera antecedente dei tre giorni santi: mercoledì, giovedì e venerdì. Il popolo cristiano vi partecipava numeroso e i fedeli restavano alquanto colpiti dalla forza del simbolismo.

Ecco il tempo adatto

26 febbraio 2020 Chiesa di Santo Anselmo Processione Penitenziale e Basilica di Santa Sabina Imposizione delle Ceneri

don Enrico Finotti 

L’antica tradizione liturgica romana dà grande importanza alla celebrazione della Statio. Si tratta di una solenne convocazione di tutto il popolo dell’Urbe in una chiesa di raduno (collecta) per poi raggiungere in processione la chiesa di stazione (statio), dove si celebra una actio liturgica sulla parola di Dio o anche la stessa Eucaristia. Tale celebrazione veniva chiamata anche «litania» in quanto il canto delle litanie dei Santi e dei salmi penitenziali caratterizzavano la processione. Nel tempo di Quaresima le Stationes erano a ritmo quotidiano e il Messale (fino al 1962) ne annotava ogni giorno la chiesa interessata. Se la tradizione stazionale é ormai da secoli scomparsa nella sua
forma più popolare e solenne, tuttavia ancor oggi la pratica viene ricordata e riproposta, almeno in forme più ridotte, nel vigente Messale Romano e in altri libri liturgici e documenti magisteriali, che ne danno indicazioni più specifiche.

ASPETTI IMPORTANTI DEL TEMPO DI QUARESIMA

La Quaresima come “cammino verso la Pasqua”

L’immagine ha il suo fondamento biblico nel grande viaggio di Cristo verso Gerusalemme e insieme nell’epica uscita degli Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto verso la terra promessa, che si legge nel libro dell’Esodo proprio in Quaresima, orientando tutto il popolo di Dio ad uscire dalla terra del peccato ed entrare nella vita della grazia.

COME CELEBRARE IL TRIDUO?

Il mistero lo si incontra, ci coinvolge e ci salva, non principalmente in una catechesi liturgica, ma nella reale celebrazione della Liturgia

Una bella spiegazione sul Triduo pasquale è soltanto un primo passo, indispensabile, ma insufficiente. E’ necessario che dalla grammatica si passi alla pratica, ossia ad una celebrazione del Triduo, coerente con i principi che lo ispirano. Il mistero, infatti, lo si incontra, ci coinvolge e ci salva, non principalmente in una catechesi liturgica, ma nella reale celebrazione della Liturgia. In essa si rende presente il Risorto e agisce il suo Santo Spirito e la nostra vita viene misticamente elevata alle realtà soprannaturali. Ecco allora quattro regole fondamentali, che assicurano una celebrazione corretta e degna del Triduo pasquale.

IL TRIDUO PASQUALE: LA PASQUA CELEBRATA IN TRE GIORNI

don Enrico Finotti

Il Mistero Pasquale
Quando si parla di Pasqua normalmente si intende la risurrezione di Gesù. Pasqua è la festa di Gesù Risorto, la più grande festa dell’anno. Questo è vero, ma è incompleto.
Il mistero pasquale, infatti, contiene due movimenti fondamentali, presenti nella persona del Salvatore. Un movimento discendente di umiliazione e morte: Gesù che patisce e muore in croce ed è sepolto, e un movimento ascendente: Gesù che risorge e sale al cielo. Questo è il mistero della nostra redenzione: la persona del Verbo incarnato, che per noi muore e risorge.
Nel termine Pasqua vi è contenuto tutto il piano della salvezza, dall’Incarnazione al ritorno di Cristo nella gloria, anche se ordinariamente Pasqua indica più direttamente quello che è il momento centrale e culminante della redenzione, che è la passione, morte e risurrezione del Signore.

IL TEMPO ORDINARIO (seconda parte)

 

Il tramonto del sabato

“Benchè il giorno liturgico, come il giorno astronomico, decorra dalla mezzanotte alla mezzanotte, la Chiesa nella celebrazione della Domenica ha conservato l’uso biblico di computare come inizio del giorno la sera : “ E fu sera, e poi mattino: il primo giorno” (Gen 1, 5). Infatti, secondo le parole di s. Leone Magno la Domenica è “il giorno della risurrezione del Signore, il cui inizio, come è noto, è fissato la sera del Sabato”.

Questa è la vera ragione per cui si sono sempre celebrati i primi vespri della Domenica e per cui la sede apostolica, per provvedere alle necessità della nostra epoca, dà alle conferenze episcopali che la chiedono, la facoltà di anticipare la sera del Sabato la messa della Domenica successiva”.428 

Questa disposizione, recepita nel Codice di Diritto Canonico, è ora legge universale della Chiesa e non si può più parlare di messa prefestiva, ma festiva a tutti gli effetti in tutta la Chiesa Cattolica.

IL TEMPO ORDINARIO (prima parte)

“Oltre i tempi che hanno proprie caratteristiche, ci sono trentatrè o trentaquattro settimane durante il corso dell’anno, le quali sono destinate non a celebrare un particolare aspetto del mistero di Cristo, ma nelle quali tale mistero viene piuttosto venerato nella sua globalità, specialmente nelle domeniche. Questo periodo si chiama tempo “per annum”, o tempo ordinario.

Il tempo “per annum” comincia il lunedì che segue la domenica dopo il 6 gennaio e si protrae fino al martedì prima della Quaresima; riprende poi con il lunedì dopo la Pentecoste per terminare prima dei primi vespri della I domenica di Avvento.

Allo stesso modo vengono utilizzati i formulari per le domeniche e le ferie che si trovano nella liturgia delle ore e nel messale” (Norme Generali nn. 43-44). 

Il tempo ordinario non ha speciali connotazioni relative al mistero di Cristo, ma è incentrato sulla totalità di esso e si presta ad approfondire e celebrare nella sua forma antica, tipica ed ordinaria, sia la domenica sia il giorno liturgico feriale.

Per questo ora vengono proposte le modalità liturgiche della celebrazione della domenica come tale e del giorno feriale nel suo stato ordinario.

La celebrazione del tempo natalizio

Per attualizzare il Mistero e attingere alla sua grazia, ecco il programma celebrativo del tempo di Natale.

La descrizione non considera la celebrazione ordinaria del tempo natalizio e delle sue solennità, ma si sofferma ad evidenziare elementi che, già previsti dal Messale, possono essere ancora non sufficientemente conosciuti, e quelle celebrazioni tipiche e integrative, che sono proposte in questo sussidio.

  1. Le celebrazioni del tempo di Natale
  2. La benedizione dei ceri natalizi nella vigilia di Natale

LA GRAZIA DEL TEMPO DI NATALE

La grazia tipica delle solennità e di tutto il  tempo natalizio è l’unione della nostra vita con la vita divina di Colui che ha voluto assumere la nostra natura umana.

La colletta della Messa del giorno di Natale afferma chiaramente il contenuto della grazia del Natale del Signore:

“O Dio, che in modo mirabile ci hai creati a tua immagine, e in modo più mirabile ci hai rinnovati e redenti, fà che possiamo condividere la vita divina del tuo Figlio, che oggi ha voluto assumere la nostra natura umana”.

Questo mistero di unione di Lui con noi è espresso singolarmente nella celebrazione eucaristica nel rito offertoriale dell’immissione dell’acqua nel vino, dove le parole accompagnatorie, tratte dalla suddetta colletta del giorno di Natale,180  esprimono il mistero dell’Incarnazione del Verbo e al contempo la nostra unione con Lui, che ci fa diventare partecipi della natura divina.

 “L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana”.

Ogni giorno, quindi, la Chiesa, unendo l’acqua al vino, celebra simbolicamente quell’unione “ipostatica” che avvenne nell’Incarnazione del Verbo e che si rende sacramentalmente attuale e presente nella SS. Eucaristia, presenza “vera, reale e sostanziale” del Dio fatto uomo.

E insieme, ogni giorno, unendo l’acqua al vino, la Chiesa celebra simbolicamente la nostra unione col Verbo incarnato, unione avvenuta “in radice” nel Battesimo e nella Confermazione e che viene continuamente alimentata ed intensificata dalla assunzione sacramentale del Corpo del Signore nella s. Comunione.

E’ questa grazia unitiva, fonte della nostra divinizzazione, che nelle solennità natalizie viene vivificata e aumentata, tramite le celebrazioni liturgiche.

 

A cura della Redazione

IL MISTERO DEL NATALE

“Dopo l’annuale rievocazione del mistero pasquale, la Chiesa non ha nulla di più venerando che la celebrazione del Natale del Signore e delle sue prime manifestazioni: ciò che essa compie nel tempo di Natale.

Il tempo di Natale inizia con i Primi Vespri del Natale del Signore e termina la domenica dopo l’Epifania, cioè la domenica che cade dopo il 6 gennaio.

La Messa della vigilia di Natale si usa alla sera del 24 dicembre sia prima che dopo i Primi Vespri.

Nel giorno di Natale, secondo l’antica tradizione romana, si possono celebrare tre messe: la notte, all’alba, nella giornata.

L’ottava del Natale è così ordinata:

Gesù è nato il 25 dicembre

 

da “Il Cammino dei Tre Sentieri”  – 21 DICEMBRE 2022     

Il professor Michele Loconsole, dottore in Sacra teologia Ecumenica, Presidente dell’associazione internazionale ENEC (L’Europe-Near East Centre) e Vicepresidente della Fondazione Nikolaos e dell’Associazione Puglia d’Oriente, rilasciò (clicca qui) un’interessante intervista all’agenzia di stampa Zenit, dove ricordò recenti studi che confermano il fatto che Gesù sia nato, se non proprio il 25 dicembre, senz’altro in una data molto vicina a questa. In realtà si tratta di studi che già si conoscevano. Ne aveva parlato Vittorio Messori sul Corriere della sera del 9.7.2003. Bene ha fatto il professor Loconsole a ricordarlo.

La dimensione ascetica della Notte Santa

 

A cura della Redazione

Non possiamo sottacere il valore ascetico del popolo che attende, anche con un certo sacrificio, l’ora della celebrazione del grande Mistero. Esso accentua ed è parte integrante della celebrazione del Mistero stesso. Infatti la celebrazione liturgica della Chiesa prevede un itinerario, – oggi alquanto ridotto e quasi scomparso – che si conclude con l’attuazione sacramentale dell’opera della nostra salvezza nell’Eucaristia. Gli ingredienti di questo cammino sono il digiuno, la veglia, l’ascolto della Parola e la preghiera. Tutto questo veniva offerto nell’antica Veglia domenicale, quando dopo il lucernale, si vegliava nella notte, digiunando, e si ascoltava la Parola di Dio, meditandola nel canto dei salmi, nel silenzio e nelle orazioni. Infine al sorgere del sole si incontrava il Signore stesso nel mistero del Sacramento e l’incontro con lo Sposo colmava il cuore della gioia pasquale. Lo svolgimento era logico, si trattava di solidarizzare con la passione e morte del Signore, mediante il digiuno e la veglia, che costavano certo rinuncia e sacrificio, per poi degnamente e con frutto esultare nell’annunzio e nella mistica partecipazione alla realtà di Lui risorto. La dimensione ascetica e penitenziale è indissociabile dalla celebrazione eucaristica, infatti ‘per crucem ad lucem’ e tale dimensione oggi permane in indicazioni quasi irrisorie nell’ora di digiuno eucaristico che precede la comunione. Rimangono solo due espressioni che ancora richiamano l’epoca d’oro dell’antica celebrazione: la notte di Pasqua e quella di Natale. Qui ci sarebbe data la possibilità di valorizzare gli elementi pre-eucaristici della veglia, dell’ascolto prolungato della Parola e del digiuno. Tuttavia dove sia la Veglia Pasquale, come la Messa di mezzanotte di Natale, sono devitalizzate, sia nella durata, come nell’orario, come nella indebita semplificazione, tale esperienza è di fatto perduta per la comunità cristiana. Oggi l’urgenza non è dare al popolo un facile e inconcludente appuntamento celebrativo, ma introdurlo in una esperienza celebrativa edificante, che porti a riflettere e pregare, e così provocare una sempre maggiore coscientizzazione e una più profonda conversione. Questo deve essere l’intento della pastorale autentica per non ridurla ad una branchia dell’ufficio del turismo o della cultura..(da “Natale: la mezzanotte santa” Trento, 2005, pp. 42-45)

La Mezzanotte santa

 

* Si assiste oggi ad una progressiva incrinatura della tradizione liturgica classica della notte di Natale. Infatti, nel tempo che intercorre tra l’ora del vespro e la mezzanotte del 24 dicembre, si diffondono sempre più due orientamenti: – si celebra la ‘messa della notte’ in ore precedenti alla mezzanotte (ore 20. 00- 21.00- 22.00-23.00); – si celebrano nella stessa parrocchia più messe nella serata e nella prima parte della notte natalizia. In tal modo, la Messa celebrata a mezzanotte, dove ancora rimane, subisce una considerevole riduzione nel numero dei partecipanti. Questo si fa normalmente in nome di un’attenzione alle richieste della gente, ma che non tiene in debito conto i connotati della celebrazione del Mistero nell’alveo della tradizione storico-liturgico-teologica della Chiesa, che lo interpreta. È infatti la Chiesa che delinea le modalità celebrative della solennità natalizia e che le ha trasmesse nella sua secolare tradizione, modellandole su precise basi teologiche e bibliche. Ci si deve inanzittutto rendere conto che queste scelte porteranno nel tempo ad almeno quattro conseguenze, che in questa riflessione si cercherà di chiarire: – la perdita del valore biblico-simbolico della mezzanotte, che consente una omelia mistagogica al Mistero in linea con la tradizione patristica e secolare della Chiesa; – la restrizione della notte di Natale al solo momento puntuale della Messa, invece della più ampia estensione in una veglia orante, che santifica la notte santa; – l’abbandono del criterio della ‘coralità’, ossia che tutto il popolo partecipa alla celebrazione unica e non ripetuta della Messa della notte, criterio che sta alla base dei maggiori riti liturgici della Chiesa; – l’ esposizione della notte santa al ritorno di usi e costumi solo umani o pagani, che prenderanno il posto lasciato vuoto dai riti della Chiesa.