LA ‘GRAVITÀ SACERDOTALE’ SECONDO IL BEATO ANTONIO ROSMINI – seconda parte

Don Enrico Finotti  –  5 maggio 2018

 

Nella seconda parte della XI Conferenza sui doveri ecclesiastici  il Rosmini indugia sulla gravità esteriore del sacerdote, distinguendo aspetti diversi che concorrono nella composizione  armonica di una personalità sacerdotale veramente degna della sua altissima dignità e dei compiti specifici del suo sublime ministero.

Il grande Roveretano sviluppa la sua analisi con acume, precisione e completezza, cogliendo la gravità sacerdotale nei suoi tratti visibili più essenziali: 1. Gravità nelle parole; 2. Gravità nei gesti e nel portamento; 3. Gravità nelle vesti; 4. Gravità nelle operazioni.

 Gravità nelle parole

 Quanto poi alla gra­vità esteriore, noi dicevamo, che ella deve ab­bellire tutte le parole e i gesti e le vestimenta e le opere del sacerdote.

E in prima, sono le nostre parole sempre cosi gravi e così mature come a noi si con­viene? Se v’ha parte, che più dell’altre debba esser sacra al Signore nel corpo del sacerdote, ella è certo la bocca, le labbra e la lingua, pe­rocché con queste parti appunto il ministro di Dio esercita tutte le più sublimi funzioni del suo ministero. La bocca del sacerdote è santi­ficala   dalle   tremende   parole   che quotidianamente egli proferisce all’altare, e dal corpo e dal sangue di Cristo, di cui ella rosseggia. Quel­la bocca è destinata da Dio strumento di salute e di perdizione, perocché da essa escono quelle parole divine, che legano e slegano le anime dai peccati, e che annunziano la sentenza di Dio stesso, di grazia o di condanna.

Le labbra de’ sacerdoti custodiscono la scien­za, e sono depositarie della legge, e ad esse è commesso di ammaestrare le nazioni e di con­vertire il mondo…

E non è il sacerdote incombenzato di esercitare in terra colla sua lingua l’ufficio, che hanno gli Angeli in cielo, di cantare dinanzi al trono di grazie, che l’Altissimo collocò ne’ nostri ta­bernacoli, le lodi del Creatore? …

Che cosa dunque si dovrà dire di quel sacerdote, che adopera un così nobile e sacro strumento a cose vili, strappandolo qua­si dalle mani di Dio, a cui appartiene, e ripren­dendoselo per sì reo fine dopo averglielo do­nato? …

Quanto poi al parlar basso, scurrile e buf­fonesco, talor si crede che non ci sia dentro gran male, e senza molto scrupolo lo si porta per tutto, sicché, fino in chiesa, fin sul perga­mo, fin sull’altare si sentono talora delle ma­niere di questa fatta. Altri credono di rendersi in questa maniera più popolari, e di cattivarsi l’amore della plebe. Ingannati davvero; che sé la plebe ride ai poco decenti scherzi de’ sacerdoti, non li stima per questo, né si rende loro più docile: anzi anche la plebe ha in se stessa a sufficienza buon senso per accorgersi, che il sacerdote così facendo invilisce il suo carattere, e per riconoscerlo a tali segni per un uomo leg­giero e di poco conto. E quand’anche i secolari dovessero gradire quelle maniere al tutto indecorose, vorremo noi acquistarci il favore del popolo con mezzi così indegni di noi stessi?

 Gravità nei gesti e nel portamento

 Gene­ralmente poi la leggerezza de’ discorsi suole ac­compagnarsi alla leggerezza dei gesti, del porta­mento, delle maniere, e a quella delle vesti. Deve il sacerdote in lutto il suo portamento e in tutti i suoi gesti mostrar ragione, maturità, modestia… E veramente la presenza sola di un sacer­dote pieno di gravità e di modestia è una con­tinua predicazione ed ammaestramento al po­polo, che divien più divoto col sol vederlo, e legge in lui le lezioni e i documenti di quella mansuetudine e purità e dolcezza, umiltà e pru­denza, che nella forma esterna di quel sacer­dote si dimostrano.

 Gravità nelle vesti

Quanto poi alle vestimenta, chi non sa, come sia raccomandato ai sacerdoti di portare l’abito loro conveniente da tutti i canoni? Chi non sa quanto intensamente e replicatamente si vietino tutte le fogge secola­resche, si raccomandi il color nero, la forma lunga o talare, e gli altri distintivi del costume ecclesiastico? Egli è vero che, come si suol dire, l’abito non fa il monaco; ma è vero altresì che l’abito segna il monaco, e lo distingue da tutti gli altri: e se cotanto lo raccomandano le pre­scrizioni di tanti sapienti Vescovi della Chiesa, che pur hanno autorità di comandare, e co­stantemente per tanti secoli, non è egli segno che reputarono il vestire da ecclesiastico cosa di gran momento? E se tanti uomini sommi Padri e Pastori della Chiesa, così giudicarono, qual temerità non sarà la nostra, giudicando noi altrimenti, quasi che tutti quelli si fossero ingannati!

L’abito infatti giova assai all’anima dell’ecclesiastico col dividerlo dal mondo, e col ricor­dargli continuamente, che egli ha indosso le di­vise di Gesù Cristo. Queste divise il debbono continuamente ammonire a tenersi lontano da tutto ciò che sa di profano, e che spira aria di mondo, e a munirlo, per conseguente, contro molti pericoli. Queste divise debbono essere a lui care, e bello è il costume di quei sacerdoti, i quali la mattina in sorgendo dal letto, prima d’indossare la loro veste talare, la baciano con divozione e con tenerezza. E che? Le professioni secolari amano la loro divisa: si compiacciono di averla indosso, e se ne gloriano come di cosa onorifica: il soldato non tralascia di cingere la sua spada, il magistrato non omette di vestir la sua toga: e il sacerdote di Cristo amerà meno quel suo uniforme che lo dichiara soldato del sommo Re e magistrato del regno di Cristo? E ci vorrà tanta fatica a fare che almeno non se ne vergogni? … Consideriamo bene che ogni cosa, che tende e si avvicina al vestito de’ secolari, accusa il prete di vanità e di leggerezza in faccia al mon­do, che sa troppo discernere quali siano i sa­cerdoti più rispettabili anche dal loro vestire.

Non ci sfugga ancora, che, se è contraria al­la gravità sacerdotale la forma o il colore se­colaresco dell’abito, o la troppa attillatura, non meno offende la gravità del sacerdote la sordi­dezza e la sporcizia, o l’andar troppo logori e pezzenti, non per amore di evangelica povertà, ma per negligenza ed inerzia, e peggio ancora per avarizia. Nettezza ed ordine deve risplen­dere nel sacerdote e in lutto le cose sue: netta, pulita e ordinata deve essere la casa del sacer­dote, pulite le sue vestimenta.

Ciò è massimamente richiesto per le vesti di chiesa: le talari, le cotte, i camici e tutti i sacri paramenti debbono essere tenuti mondi e non sdruciti. Tali vesti, dove siano sucide e lo­gore oltremodo, lungi dall’eccitare il rispetto ne’ fedeli, sono ad essi testimonia del nullo ri­spetto che ha per la Chiesa e per le cose della Chiesa il prete stesso. Onde, che rispetto avrà il popolo, se vede che nessun rispetto ne ha il sacerdote?

Ancora, le vestimenta sacre sono ordinate a simboleggiare le virtù interiori. Or diremo noi, che debbano simboleggiare virtù, tutte lorde e macchiate? La cotta, a ragion d’esempio, ed il camice indica la purità per la sua candidezza: or bella purità sarà quella, che invece di can­dida, mostrasi quasi nera e sozza per mille mac­chie! Su tutto ciò dobbiamo noi tirare il nostro esame, e fare i nostri propositi.

Chiudiam gli orecchi, miei Reverendi Fra­telli, alle vane scuse, colle quali cercano di di­sobbligarsi dal vestir secondo il decoro eccle­siastico i tiepidi sacerdoti.

Altri vi diranno, che queste cose esterne sono minuzie; ma non tocca per avventura ad essi il giudicare, che cosa importi al ben della Chiesa, o no: questo tocca ai Vescovi che la governano guidati dallo Spirito Santo: Spiritus Sanctus posuit Episcopos regere Ecclesiam Dei (At 20,28); e i Vescovi giudicano che il vestir l’abito ecclesiastico non sia minuzia, ma cosa di gran momento per il bene del clero e dei po­poli: e le ragioni le abbiamo già accennate.

Altri vi diranno, che è alquanto incomodo il costume ecclesiastico; ma il sacerdote, uomo di sacrificio e di mortificazione, deve essere su­periore a questi piccoli incomodi personali, trattandosi di eseguire le leggi e di provvedere al ben della Chiesa.

Altri diranno, che costan troppo: ma costoro non mostrano che una sordida avarizia, se pur non è questo un pretesto per disubbidire.

Altri vi diranno finalmente, che l’abito ec­clesiastico toglie loro la libertà. Ma per questo appunto è fatto, acciocché il sacerdote non sia troppo libero, giacché egli deve essere il servo di Dio, e non aver quella che S. Pietro chiama velamen malitiae, libertatem (1 Pt 2,16).

Insomma non mancano mai de’ pretesti ai sacerdoti tiepidi affin di sottrarsi alla soggezion delle leggi …

 Gravità nelle operazioni

Venendo poi al­la gravità, che il sacerdote deve conservare e dimostrare in tutte le sue operazioni …

I teatri, i caffè, le bottiglierie, le osterie, i ritrovi di giuoco, le conversazioni promiscue, son tutte cose opposte alla gravità sacerdotale, oltre i pericoli che in sé racchiudono, e vien riputato leggiero quel sacerdote che li frequenta.

Non è opposto alla sacerdotale gravità qual­che momento di riposo e di onesta ricreazione, quando ella segua veramente alle fatiche. Così anche Cristo agli Apostoli ritornati da una tra­vagliosa missione disse con paterna dolcezza: Venite seorsum in desertum locum et requiescite pusillum (Mc 4,31); ma questo riposo e que­sta ricreazione, oltre il dover essere moderata e necessaria, niente aver deve di profano, di tu­multuoso, di rumoroso o d’indecente … Tutto ciò che esige violente gesticolazioni di corpo, è pure opposto alla sacerdotal gravità … Non meno delle cose dette è contrario alla sacerdotale gravità e dignità l’immischiarsi in affari temporali, senza che il proprio ministero lo richiegga; massime se si prendono tali solle­citudini a fine di guadagno … Non vi ha certamente nulla di più inde­coroso ed indecente di vedere un sacerdote su per i tribunali civili a fare da causidico e da avvocato, o in vederlo mescolarsi nei testamen­ti, o fare il fattore o l’agente di qualche ricca famiglia.

Insomma tutto ciò che distrae e stoglie il sa­cerdote da Dio e dalle cose divine, e lo dissipa nelle umane, egli è contrario, per ripetere ciò che ho già detto a principio, alla gravità del sacerdote di Cristo, e dimostra leggerezza ed incostanza, perocché incostanti e leggiere sono tulle le cose fuori di Dio.

 Il messaggio del beato Antonio Rosmini nella sua sostanza presenta un’attualità del tutto evidente e urgente e sollecita una seria verifica per applicare con intelligenza ed efficacia i principi che egli con tanta sapienza esponeva al clero del suo tempo.

La virtù della gravità sacerdotale è parte della Tradizione teologica, spirituale e disciplinare della Chiesa e in quanto tale non potrà mai essere considerata superata come un valore ormai inadeguato al clero odierno.

Ritenere che la gravità sacerdotale in quanto tale sia virtù di altri tempi sarebbe voler congedarsi dalla stessa santità sacerdotale, di cui è visibile manifestazione.

Ma anche le sue concrete e fondamentali espressioni visibili (gesti, parole, abiti, ecc.) non possono essere ritenute superate in quanto dimensioni esteriori congenite con la sostanza stessa della gravità interiore che nell’uomo non può che essere indissolubilmente interna ed esterna per la natura stessa dell’uomo, composto di anima e di corpo.

La riforma del Concilio Vaticano II che dalla liturgia (SC)[1] si estende alla vita del clero (PO)[2] e dei religiosi (PC)[3] affrontando il dialogo col mondo (GS)[4], non potrà mai essere interpretata come un abbandono insipiente e dannoso della gravità sacerdotale, che se esige determinate forme di inculturazione nei tempi nuovi non potrà mai allontanarsi né dai principi, né dalla sostanza delle forme disciplinari ormai convalidate dai secoli e che scaturiscono in modo organico e coerente dalla stessa sostanza interiore della perenne virtù della gravità sacerdotale.

La Chiesa, madre e maestra guiderà con opportuna moderazione e intelligente discernimento ogni moto di aggiornamento che dovrà comunque sempre risplendere nella fedeltà al deposito della fede consegnato dagli Apostoli, dichiarato dai Padri e garantito dal Magistero costante della Chiesa.

Si comprende infine quanto il discorso sulla gravità sacerdotale sia urgente per una corretta applicazione della riforma liturgica, che nella pratica sembra veramente aver abbandonato tale comportamento tutto pervaso dallo sguardo su Dio per volgersi con i tratti tipici della secolarizzazione imperante verso il mondo pensando di conquistarlo a quelle realtà soprannaturali che senza gravità sacerdotale si eclissano totalmente sul volto di coloro che nell’esercizio del culto santo dovrebbero rivelarle con tutto lo splendore, la bellezza e la maestà della santa liturgia della Chiesa.

[1] Sacrosanctum Concilium

[2] Presbyterorum ordinis

[3] Perfectae charitatis

[4] Gaudium et spes

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