IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONE – prima parte

Il figliol prodigo

PRIMA PARTE DELLA TRASMISSIONE ANDATA IN ONDA NELLA SERATA DI LUNEDI’ 8 APRILE 2019 A RADIO MARIA A CURA DI DON ENRICO FINOTTI. 

I        Il «mistero» della Riconciliazione

  1. La «seconda tavola di salvezza»

Il mistero connesso al sacramento della Riconciliazione é l’evento soprannaturale per cui il cristiano, già rigenerato dal battesimo, ma caduto nel peccato, mosso dalla grazia divina, ritorna pentito a Dio in un nuovo abbraccio di riconciliazione e di pace.

Non si tratta propriamente di quella riconciliazione primaria che l’uomo decaduto per il peccato originale, riceve dalla misericordia divina mediante la Fede e il Battesimo che lo rendono Figlio di Dio e tempio della Santissima Trinità, bensì di una «seconda tavola di salvezza dopo il naufragio»[1], che soccorre il cristiano caduto nel peccato dopo il Battesimo.

Le antiche fonti parlano della Riconciliazione come di un «battesimo nelle lacrime» (lavant lacrimae)[2]: come l’acqua del Battesimo, per la virtù dello Spirito Santo, ha lavato il peccato originale ad ogni altro peccato attuale, così le lacrime del peccatore sinceramente pentito lavano il peccato e, per la virtù dello Spirito Santo, predispongono al ritorno nello stato di grazia santificante nella pace con Dio. Il Concilio Tridentino dichiara:

«Col battesimo, rivestendoci di Cristo, diventiamo in lui una creatura del tutto nuova, conseguendo la piena e totale remissione di tutti i peccati; col sacramento della penitenza, invece, non é possibile giungere a questa novità e integrità senza grandi gemiti e fatiche da parte nostra, come esige la divina giustizia. Così che a buon diritto la penitenza é stata chiamata dai santi Padri un battesimo laborioso. Per coloro che sono caduti dopo il battesimo questo sacramento della penitenza é necessario alla salvezza, come lo stesso battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati»[3]

  1. La realtà del peccato

Il mistero della Riconciliazione implica la realtà del peccato. Senza il peccato non vi é materia per la riconciliazione. Il peccato é l’offesa a Dio calpestando i suoi Comandamenti: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama» (Gv 14,21); «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che é nei cieli» (Mt 7,21).

– Il peccato é possibile anche dopo il Battesimo perché non é tolta al cristiano la concupiscenza, eredità del peccato originale, ma questa é lasciata affinché, mediante il combattimento terreno, la salvezza sia meritoria in ordine al grado di gloria celeste, che attende gli Eletti Infatti, afferma sant’Agostino: «Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te» (Sant’Agostino, Sermo CLXIX, 13). Il Concilio Tridentino dichiara in proposito:

            «Questo santo sinodo professa e ritiene tuttavia che nei battezzati rimane la concupiscenza o passione; ma,  essendo questa lasciata per la prova, non può nuocere a quelli che non vi acconsentono e che le si oppongono virilmente con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, non riceve la corona se non chi ha lottato secondo le regole (cfr.2Tm 2,5) …».

– Si deve ben distinguere tra peccato ed errore. L’errore é compiere il male senza conoscerlo come tale, anzi talvolta ritenendolo un bene (coscienza erronea) e di conseguenza non é colpevole. Il peccato, invece, implica responsabilità personale in una scelta malvagia, cosciente e voluta. Tale atto é perciò colpevole, aggrava la coscienza e richiede il perdono.

– La gravità del peccato non sta in primo luogo nel danno arrecato a se stessi, al prossimo o al creato, ma nell’offesa a Dio, sommo bene. Ciò implica che soltanto Dio può rimettere i peccati (cfr. Mc 2,7: «Chi può perdonare i peccati se non Dio solo?»). Per questo nell’«Atto di dolore» si dice: «O Dio mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi e molto più perché ho offeso te infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa…».

– Si deve distinguere tra il peccato mortale, che estingue totalmente nell’anima la vita divina della grazia ed espone all’eterna condanna e il peccato veniale, che la ferisce, debilitando la crescita nella santità dello stato di vita di ciascuno.

– Il peccato mortale implica tre condizioni necessarie e inscindibili: materia grave, piena avvertenza e deliberato consenso.

– Nel caso di peccato grave é necessario il sacramento della Riconciliazione per il recupero della vita di grazia, che deve essere comunque premesso alla recezione della santa Comunione: «…nessuno, consapevole di essere in peccato mortale, per quanto possa ritenersi contrito, si accosti alla santa eucaristia senza avere premesso la confessione sacramentale»[4]

– La grazia santificante può subito essere riacquistata, dopo il peccato, mediante l’«atto di dolore perfetto», che, per essere tale, esige intrinsecamente il voto di accostarsi appena possibile alla Confessione sacramentale.

– La Confessione regolare, anche soltanto per i peccati veniali, é, nel pensiero e nella prassi della Chiesa, un importante mezzo per conseguire la perfezione nella santità.

  1. La Riconciliazione: dono gratuito di Dio e atto libero dell’uomo

Ogni vera conversione, dopo aver peccato, é un dono gratuito e preveniente di Dio, che dà al peccatore la grazia del pentimento. Al contempo è un atto libero e meritorio del peccatore stesso, che a tale grazia preveniente vi corrisponde con l’aiuto divino. Il Concilio Tridentino dichiara:

            «Il concilio dichiara che negli adulti l’inizio della stessa giustificazione deve prendere le mosse dalla grazia              preveniente di Dio […] che sollecita e aiuta, a volgersi alla propria giustificazione, liberamente consentendo e cooperando alla stessa grazia. […] Perciò quando nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, e io mi volgerò a voi (Zc 1,3), siamo ammoniti circa la nostra libertà; e quando rispondiamo: Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo (Lm 5,21), confessiamo che la grazia divina ci deve prevenire»[5].

La Chiesa prega incessantemente per i peccatori, affinché si aprano ad dono preveniente della grazia divina e vi corrispondano generosamente, convertendosi per la loro salvezza. Afferma il Tridentino:

            «Dio non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi, di chiedere quello    che non puoi, e ti aiuta perché tu possa; i suoi comandamenti non sono gravosi (cfr. 1 Gv 5,3), il suo giogo è dolce e il suo carico leggero (cfr. Mt 11,30)»[6].

 

II       Il «sacramento» della Riconciliazione

  1. L’istituzione del sacramento della Riconciliazione

Il sacramento della Riconciliazione fu istituito dal Signore la sera di Pasqua, quando apparendo agli Apostoli riuniti nel Cenacolo alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).

Ciò é definito dal Concilio Tridentino che dichiara:

                «Il Signore ha istituito il sacramento della penitenza principalmente quando, risorto dai morti, soffiò sui suoi          discepoli dicendo: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi»[7].

Dalle parole del Signore risulta chiaramente come gli Apostoli siano costituiti giudici per pronunziare un giusto giudizio sul penitente e poter assolvere o ritenere («sciogliere» o «legare») con divina autorità e personale responsabilità. Da ciò si deve concludere che il sacramento della Riconciliazione non si riduce ad una semplice dichiarazione della misericordia di Dio, che avrebbe già accordato comunque il perdono a prescindere dagli atti del penitente (contrizione, confessione, penitenza) e dal giudizio del sacerdote a cui compete assolvere dai peccati.

Afferma il Concilio Tridentino:

            «Quantunque l’assoluzione amministrata dal sacerdote sia l’elargizione di un beneficio che proviene da un altro, tuttavia essa non si riduce soltanto a un puro ministero di annunciare il vangelo o di dichiarare rimessi i   peccati, ma, a guisa di un atto giudiziario, la sentenza é pronunciata dallo stesso sacerdote in quanto giudice»[8].

In conseguenza del carattere giudiziale del sacramento della Riconciliazione il Concilio afferma:

                «La Chiesa ha sempre creduto che sia stata istituita dal Signore anche la confessione completa dei peccati, e che essa sia necessaria iure divino per tutti quelli che hanno peccato dopo il battesimo; infatti, nostro Signore Gesù Cristo, al momento di salire dalla terra al cielo, lasciò suoi vicari i sacerdoti, come capi e giudici, ai quali  deferire tutti i peccati mortali, in cui i fedeli cristiani incorressero, perché, in virtù del potere delle chiavi, pronunzino la sentenza con cui sciogliere o legare i peccati»[9].

  1. Le parti essenziali del sacramento della Riconciliazione

Le parti essenziali del sacramento della Riconciliazione sono tutte contenute nella nota parabola del «figliol prodigo e del padre misericordioso» (cfr. Lc 15). In essa il Signore descrive con cura e perfezione il processo di riconciliazione con Dio, passando attraverso quattro fondamentali tappe, che possiamo denominare secondo i termini catechistici: pentimento, penitenza, confessione, assoluzione.

Pentimento: «Mi leverò e andrò da mio Padre e gli dirò: Padre ho peccato…» (Lc 15, 18)..

Penitenza: «Partì e s’incamminò verso suo padre» (Lc 15,20).

Confessione: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te…» (Lc 15, 21)

Assoluzione: «Il Padre … gli si gettò al collo e lo baciò» (Lc 15, 20).

Si tratta delle quattro disposizioni fondamentali per celebrare in modo valido e legittimo il sacramento della Riconciliazione. Sono quattro disposizioni necessarie e indissolubili in modo che, mancandone una sola, tutte le altre vengono meno. Infatti, un pentimento sincero implica la volontà effettiva di emendare il peccato commesso (penitenza), la decisione di riconoscerlo e dichiararlo davanti a Dio e al sacerdote (confessione) e quindi poter ottenere il perdono divino (assoluzione).

  1. La materia, la forma e il ministro del sacramento della Riconciliazione

Si comprende allora quale si la materia, la forma e il ministro del sacramento della Riconciliazione:

materia: é costituita dagli atti del penitente, uniti inscindibilmente tra di loro: il pentimento (contrizione), l’accusa (confessione) e la volontà effettiva di emendamento e di riparazione (penitenza). Tale singolare materia così composta é detta «quasi materia» in quanto si tratta di disposizioni spirituali ed atti (gli atti del penitente) più che di elementi tolti dal creato, come avviene in genere negli altri Sacramenti. Afferma il Tridentino:

            «Sono quasi materia di questo sacramento gli atti dello stesso penitente e cioè: la contrizione, la confessione e la soddisfazione. E poiché questi atti sono richiesti nel penitente dall’istituzione divina per l’integrità del sacramento e per la piena e perfetta remissione dei peccati, per questo sono definiti parti della penitenza»[10].

forma: é la formula pronunziata dal sacerdote nell’impartire l’Assoluzione sacramentale, nella quale sono essenziali le parole: «Io ti assolvo dai tuoi peccati, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo». Afferma il Tridentino:

            «Insegna il santo sinodo, che la forma del sacramento della penitenza, nella quale risiede principalmente la sua efficacia, consiste in quelle parole del ministro: io i assolvo, ecc., alle quali, nell’uso della santa Chiesa, si   aggiungono opportunamente alcune preghiere, che tuttavia non appartengono in nessun modo all’essenza della forma e non sono necessarie all’amministrazione del sacramento»[11].

ministro: è il solo sacerdote (vescovo e presbitero), validamente ordinato e munito della giurisdizione necessaria sui penitenti che intende assolvere (cfr. Can.966-§1). Afferma il Tridentino:

            «Quanto al ministro di questo sacramento, il santo sino dichiara false e completamente estranee alla verità evangelica tutte quelle dottrine che con grave pericolo estendono il ministero delle chiavi a tutti gli uomini e non solo ai vescovi e ai sacerdoti»[12].

  1. L’ordine delle quarto parti del sacramento della Riconciliazione

L’ordine logico e naturale delle quattro parti del sacramento della Riconciliazione é descritto idealmente nella parabola del «figliol prodigo»: pentimento, penitenza, accusa, assoluzione. Tale ordine viene adottato dalla Chiesa nell’epoca classica della penitenza pubblica dei primi secoli e rimane l’ordine ideale di riferimento.

La storia del sacramento della Riconciliazione, tuttavia, presenta nei secoli una notevole variazione nella disciplina penitenziale relativa all’amministrazione del sacramento:

– Nell’epoca antica (sec. II – IV) la disciplina penitenziale era molto laboriosa e rigorosa al punto da consentire un’unica possibilità di recezione del sacramento dopo un itinerario diversamente esteso nel tempo e complesso negli esercizi penitenziali a seconda del genere e della gravità dei peccati. Tre erano i peccati più gravi (capitali) per i quali si esigeva il regime gravoso ed umiliante della penitenza pubblica: apostasia, adulterio, omicidio. La loro intrinseca gravità si comprende dal fatto che vengono colpiti alla radice i gangli fondamentali dell’«essere»: il rifiuto dell’unico e vero Dio (apostasia); la distruzione del matrimonio e della famiglia, cellula base della società (adulterio); la soppressione della persona umana (omicidio). Tali peccati in un primo tempo non potevano ottenere alcuna remissione dalla Chiesa. Poi gradualmente furono ammessi, per una sola volta in vita, al regime liturgico della penitenza. In tale contesto si sviluppa una elaborata disciplina penitenziale imposta ai penitenti, che formano una categoria speciale posti a latere (in atrio) dell’assemblea ecclesiale: i penitenti pubblici. Essi, pentiti, accusavano segretamente ai sacerdoti (vescovo o presbitero) i loro peccati, ricevevano un’adeguata penitenza da compiere pubblicamente, dopo la quale venivano assolti e reintegrati nella pace e comunione con Dio e con la Chiesa. La caratteristica di questa prima fase storica della riconciliazione pubblica é l’osservanza assoluta dell’ordine originario e classico delle quattro parti del sacramento: contrizione, accusa, penitenza, assoluzione.

I penitenti pubblici hanno insieme ai catecumeni un ruolo speciale nella nascita e nella formazione del tempo di Quaresima: mentre i primi vengono ufficialmente assolti dal vescovo il Giovedì santo, i secondi ricevono i sacramenti dell’Iniziazione cristiana nella notte di Pasqua. Interessante é questa antica affermazione: Quando in vinea Domini … novorum plantatio facienda est, purgetur et curatio vetustatis [13] (Quando si fanno i nuovi impianti nella vigna del Signore, si deve anche purificare e curare ciò che é vecchio).

L’austerità dell’antica disciplina penitenziale ha lasciato un ricordo nella liturgia quaresimale ancora vigente: l’imposizione delle ceneri e le orazioni super populum dei giorni quaresimali.

–  Col Medioevo (sec.VI – IX) la disciplina penitenziale viene gradualmente mitigata e privatizzata. La Chiesa, dà fiducia al penitente e anticipa l’assoluzione sacramentale ancor prima del compimento delle pratiche penitenziali imposte. Si apre in tal modo la possibilità di una penitenza individuale e frequente, come fino ad oggi viene esercitata dai fedeli. Si muta quindi l’ordine delle parti: pentimento, accusa, assoluzione, penitenza.

– Nei casi di estrema gravità (pericolo di morte) e necessità la Chiesa può giungere ad anticipare l’assoluzione ancor prima della stessa accusa da parte del penitente, esigendo tuttavia, per la validità della stessa assoluzione, che il fedele abbia «in voto» la volontà determinata di confessare al più presto – passato il pericolo o superata l’emergenza – i singoli peccati mortali, accettando la penitenza impostagli,. In questo caso, raro ed estremo, l’ordine é questo: pentimento, assoluzione, accusa e penitenza. Si capisce che tale concessione per la salvezza eterna delle anime non può diventare un’occasione di abuso e di profanazione del Sacramento.

Si deve rilevare che, nelle profonde mutazioni disciplinari che la Chiesa accolse lungo i secoli per il bene delle anime, non é mai venuta meno la sostanza del Sacramento con tutte le sue parti essenziali e necessarie, in piena fedeltà a ciò che il Signore ha istituito.

  1. Il valore dell’esame di coscienza

L’esame di coscienza é molto importante per la piena fruttuosità del sacramento della Riconciliazione ed é già alluso nella parabola del «figliol prodigo» quando si dice: «Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pene in abbondanza e io qui muoio di fame! »(Lc 15, 17).

Il peccatore, mosso dalla grazia divina, rientra in se stesso e confronta il suo stato di miseria e di peccato con la verità e la bellezza della vita secondo i Comandamenti di Dio.

Tale esame non può ridursi ad una mera introspezione psicologica e soggettiva, ma deve rapportarsi con le esigenze oggettive ed esterne della Legge divina, norma imprescindibile per il discernimento tra la virtù e il bene, il vizio e il male.

La formazione dottrinale sui contenuti oggettivi della fede e della morale cristiana, quindi, è indispensabile per poter fare un esame di coscienza valido e fruttuoso agli occhi di Cristo, «via, verità e vita» (Gv 14,6), al quale il Padre «ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo» (Gv 5, 27).

Ambito dell’esame di coscienza non é l’orizzonte sentimentale e soggettivo del penitente, ma quello oggettivo ed austero della Legge divina, inscritta nella creazione (lex naturalis) e stabilita nella rivelazione divina (lex evangelica). Non a caso l’Apostolo ci insegna: «A me però, poco importa di venir giudicato da voi o da un consesso umano; anzi, io neppure giudico me stesso, perché anche se non sono consapevole di colpa alcuna non per questo sono giustificato. Il mio giudice è il Signore!» (1Cor 4,3-4).

[1] CONCILIO TRIDENTINO, Sessione XIV, Canoni sul santissimo sacramentio della penitenza, Can. 2, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1991, p. 711.

[2] ANAMNESIS, I Sacramenti, vol. 3/1, ed. Marietti, 1986, p. 173.

[3] CONCILIO TRIDENTINO, Sessione XIV, Dottrina sui santissimi sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, cap.II, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1991, p. 704.

[4] CONCILIO TRIDENTINO, Sessione XIII, Decreto sul santissimo sacramento dell’Eucaristia, cap.VII, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1991, p. 696.

[5] CONCILIO TRIDENTINO, Sessione VI, Dottrina sulla giustificazione, cap.V, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1991, p. 672.

[6] Idem, cap.XI, p.675.

[7] CONCILIO TRIDENTINO, Sessione XIV, Dottrina sui santissimi sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione, cap. I, in Conciliorum Oecumenicorum Decreta, EDB, 1991, p. 703.

[8] Idem, cap. VI, p.707.

[9] Idem, cap. V, pp. 705-706.

[10] Idem, cap. III, p. 704; cfr. anche can. 4, p. 712

[11] Idem.

[12] Idem, cap. VI, p. 707.

[13] ANAMNESIS, I Sacramenti, vol. 3/1, ed. Marietti, 1986, p. 173 (da una monizione diaconale del Gelasiano).

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