LA LITURGIA DELLE ORE – prima parte

DON ENRICO FINOTTI 

Trasmissione Radio Maria – 12 ottobre 2019 – prima parte

Dal Sacrificio eucaristico, come da fonte (culmen et fons), la grazia divina raggiunge gli snodi principali della vita dei credenti attraverso i sette Sacramenti, istituiti dal Signore. Attingendo a queste sorgenti divine la Chiesa ha istituito altri mezzi efficaci per estendere ulteriormente la virtù salvifica della grazia in ogni ambito della vita umana: i Sacramentali, ad immagine dei Sacramenti, santificano lo spazio e ogni cosa in esso contenuta; la Liturgia delle Ore santifica il tempo in ogni ora del giorno e della notte. In tal modo la virtù salvifica del Sacrificio incruento dell’altare avvolge interamente il mondo creato nelle sue coordinate essenziali: spazio e tempo.

 

I    La «Liturgia delle Ore»: caratteri generali

Cristo Gesù, il sommo sacerdote della nuova ed eterna alleanza, prendendo la natura umana, ha introdotto in questo esilio terrestre quell’inno che viene eternamente cantato nelle dimore celesti Egli unisce a sé tutta l’umanità e se l’associa nell’elevare questo divino canto di lode. Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l’ufficio divino (SC 83).

Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina. Quando poi a celebrare debitamente quel mirabile canto di lode sono i sacerdoti o altri a ciò deputati per istituzione della Chiesa, o anche i fedeli che pregano insieme col sacerdote secondo le forme approvate, allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre (SC 84).

Tutti coloro pertanto che recitano questa preghiera adempiono da una parte l’obbligo proprio della Chiesa, e dall’altra partecipano al sommo onore della Sposa di Cristo perché, lodando il Signore, stanno davanti al trono di Dio in nome della madre Chiesa (SC 85).

1 L’Ufficio divino: il canto del Verbo, «immolato e glorioso», «canto di lode delle sedi celesti»[1]

La Costituzione Apostolica (Laudis canticum del 1° nov. 1970) con la quale si promulga l’Ufficio divino rinnovato a norma del Concilio Ecumenico Vaticano II, esordisce con queste mirabili parole:

Il canto di lode, che risuona eternamente nelle sedi celesti, e che Gesù Cristo Sommo Sacerdote introdusse in questa terra di esilio, la Chiesa lo ha conservato con costanza e fedeltà nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme.

L’Ufficio divino é dichiarato come «il canto di lode che risuona eternamente nelle sedi celesti». Ciò significa che tale canto sale incessante nelle dimore eterne dal cuore del Figlio unigenito del Padre, che in perfetta sinfonia con le miriadi schiere degli Angeli, eleva al Padre, nella potenza dello Spirito Santo, una lode perenne ed una adorazione sublime: un canto così eccelso, che nessuno sulla terra poteva comprendere e le cui melodie erano note soltanto agli Spiriti beati del cielo. Con la sua Incarnazione il Verbo eterno portò questo indicibile canto di lode sulla terra, perché fosse cantato da Lui, capo dell’umanità redenta e, associando a sé gli uomini rigenerati dalla grazia, potesse offrire al Padre l’omaggio di quella perfetta lode, che perduta in Adamo, venne restituita in Cristo. Da quel momento su questa «terra di esilio» risuona il «canto di lode» eseguito dall’eternità nelle «sedi celesti». Il cielo e la terra in Cristo si uniscono nell’unica lode e il canto degli Angeli diventa pure il canto dei Redenti.

Ma come dimostrare che la Liturgia delle Ore sia effettivamente il «canto delle sedi celesti»? In base a quali argomenti attestare un così grande mistero?

L’Ufficio divino é costituito da testi ispirati: il salterio ne é l’ordito, i cantici biblici dell’Antico e del Nuovo Testamento il contrappunto, e i cantici evangelici (Benedictus, Magnificat, Nunc dimittis) ne sono i vertici. Dio stesso, fin dall’antichità, provvide a fornire al suo popolo i testi adatti per un culto santo a lui gradito. Già nella liturgia del Tempio di Gerusalemme risuonavano, in un graduale crescendo nei secoli, le note di quel canto celestiale, che, per vie oblique e ancora incerte, facevano udire le melodie celesti: il salterio infatti risuonava nei solenni atti del culto ebraico e lo Spirito Santo ispirava agli agiografi e ai profeti gli accenti segreti di una preghiera sempre più conforme al «pensiero di Cristo», che nella pienezza del tempo vi avrebbe posto il suo ultimo sigillo e la sua perfezione. Il Signore Gesù, infatti, realizzerà la redenzione del genere umano portando a compimento, nella sua insondabile orazione, quel canto delle sedi celesti che fin dall’Antica Alleanza aveva iniziato a discendere come rugiada benefica sul culto prescritto da Dio stesso al popolo eletto.

Con mirabile sintesi i Principi e Norme per la Liturgia delle Ore (PNLO, 3) affermano:

Venendo per rendere gli uomini partecipi della vita di Dio, il Verbo, che procede dal Padre come splendore della sua gloria, «il Sommo Sacerdote della nuova ed eterna alleanza, Cristo Gesù, prendendo la natura umana, introdusse in questa terra d’esilio quell’inno che viene cantato da tutta l’eternità nelle sedi celesti». Da allora, nel cuore di Cristo, la lode di Dio risuona con parole umane di adorazione, propiziazione e intercessione. Tutte queste preghiere, il Capo della nuova umanità e Mediatore tra Dio e gli uomini, le presenta al Padre a nome e per il bene di tutti.

 

  1. Cristo Gesù associa a sé la Chiesa, sua sposa, nella lode divina [2]

Cristo continua ad esercitare questa funzione sacerdotale per mezzo della sua Chiesa, che loda il Signore incessantemente e intercede per la salvezza del mondo non solo con la celebrazione dell’eucaristia, ma anche in altri modi, specialmente recitando l’ufficio divino (SC 83).

La Chiesa, mistica sposa di Cristo, istruita dal suo Signore e mossa dalla virtù dello Spirito Santo, ha ricevuto dal Signore questo mirabile canto e lo «ha conservato con costanza e fedeltà nel corso di tanti secoli e lo ha arricchito di una mirabile varietà di forme» (Laudis canticum).

Mediante i salmi e i cantici biblici dunque la Chiesa fa propri «i sentimenti di Cristo» ed offre al Padre un culto certo, puro e senza ombra, perché é il culto stesso che il Figlio divino rendeva al Padre fin dall’eternità ed ora, rivestito della nostra vera umanità glorificata, continua ad elevare in perenne rendimento di grazie nel seno della Santissimo Trinità. Tale intercessione filiale gode di una compiacenza assoluta e ottiene dal Padre un’infallibile esaudimento.

Il canto delle sedi celesti, disceso dal cielo con l’Incarnazione del Verbo, assume in Lui, vero uomo, il linguaggio degli uomini e, fatto proprio dalla Chiesa, si arricchisce nei secoli «di una mirabile varietà di forme». Ed ecco che ai testi ispirati da Dio si aggiungono i testi scritti per l’impulso segreto della grazia che anima gli uomini santi e pervade la vita liturgica della Chiesa: gli inni, le antifone, i responsori e i versetti, le splendide lezioni patristiche e agiografiche, e infine le intercessioni e le orazioni, sono opera della sapienza teologica e spirituale della Chiesa.

Ed ecco che alla voce del Figlio di Dio si aggiunge in perfetta sintonia la voce orante della Chiesa, che risponde al suo Signore e «gli rende incessantemente lode e intercede per la salvezza di tutto il mondo con il canto e la preghiera» (CIC – Can. 1173). Veramente cielo e terra hanno concorso alla composizione del grandioso monumento dell’Ufficio divino.

Si genera allora quel canto a due cori che il profeta Isaia udì nella visione: Sanctus, sanctus, sanctus Dominus Deus sabaoth, e che la Chiesa riprende così intensamente nel Sanctus della Messa.

Per questo il modo classico di cantare la salmodia dell’Ufficio divino é quello alternato tra i due cori, detto antifonico, raccolto e conservato soprattutto nei noti otto toni gregoriani.

Le note del canto celeste si intrecciano con quelle del canto della terra e sale alla Trinità divina, mediante l’Ufficio divino, una lode incessante. Questa associazione già si realizza in Cristo-capo, mediante l’Incarnazione, che unisce la natura divina con la natura umana, ma si completa nella Chiesa, suo corpo mistico, che viene pienamente unita al culto del suo Signore: «allora è veramente la voce della sposa che parla allo sposo, anzi è la preghiera che Cristo unito al suo corpo eleva al Padre» (SC 84).

La Chiesa, dando lode a Dio nelle Ore, si associa a quel carme di lode che viene eternamente cantato nelle sedi celesti; pregusta, nel medesimo tempo, quella lode celeste descritta da Giovanni nell’Apocalisse, lode che ininterrottamente risuona davanti al trono di Dio e dell’Agnello» (PNLO n. 16).

 

  1. L’Ufficio divino: santificazione del tempo nelle ore del giorno e della notte [3]

Il divino ufficio, secondo la tradizione cristiana, è strutturato in modo da santificare tutto il corso del giorno e della notte per mezzo della lode divina (SC 84).

Qual é la finalità specifica dell’«Ufficio divino» rispetto agli altri riti liturgici?

La esprime con immediatezza il nome stesso di «Liturgia delle Ore» (Liturgiae Horarum) che il Concilio Vaticano II volle privilegiare rispetto ad altri nomi assegnati dalla tradizione liturgica, quali ad esempio: «Ufficio divino» (Officium divinum) o «Breviario» (Breviarium) o altri ancora[4].

Il termine Breviarium rimanda sostanzialmente alla recita individuale dell’Ufficio, oscurando in tal modo il suo carattere di preghiera pubblica e comune dell’intero popolo di Dio. Il termine Officium é usato anche per altre azioni liturgiche, compresa la Messa. Restava il titolo che fu scelto in modo definitivo: «Liturgia delle Ore» (Liturgiae Horarum), che esprimeva con chiarezza la caratteristica «oraria» di questa preghiera.

Ed ecco che mediante la Liturgia delle Ore «il canto di lode delle sedi celesti», elevato da Cristo Signore in indissolubile unione con la Chiesa sua sposa, in «questa terra d’esilio», pervade le principali ore del giorno e della notte, in modo da realizzare fedelmente il comando del Signore:

Cristo ha comandato: «Bisogna pregare sempre senza stancarsi» (Lc 18, 1). Perciò la Chiesa, obbedendo fedelmente a questo comando, non cessa mai d’innalzare preghiere e ci esorta con queste parole: «Per mezzo di lui (Gesù) offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio» (Eb 13, 15). A questo precetto la Chiesa ottempera non soltanto celebrando l’Eucaristia, ma anche in altri modi, e specialmente con la Liturgia delle Ore, la quale, tra le altre azioni liturgiche, ha come sua caratteristica per antica tradizione cristiana di santificare tutto il corso del giorno e della notte (PNLO, 10).

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[1] Cfr. PNLO, Cap. I, nn. 3-4.

[2] Cfr. PNLO, Cap. I, nn. 5-9.

[3] Cfr. PNLO, Cap. I, nn. 10-19.

[4] BUGNINI, A., La riforma liturgica (1948-1975), CLV EDIZIONI LITURGICHE, Roma, 1983, p. 503, nota 31.

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