LA “STATIO” DELL’AVVENTO – prima parte

II       La celebrazione dell’Avvento

Certamente la trama del tessuto liturgico dell’Avvento è costituita dalla normale liturgia quotidiana: il Sacrificio eucaristico e le Ore dell’Ufficio divino. «Messa e Ufficio», infatti santificano ogni giorno nell’arco dell’intero Anno liturgico. Il ‘colore’ diverso dei misteri celebrati nella successione dei tempi sacri è il fascino dei fedeli, che attingono con frutto alle sorgenti della grazia e che nell’itinerario annuale sono sempre più introdotti nelle profondità insondabili dell’azione salvifica di Dio.

Tuttavia l’Avvento è un «tempo forte» e, in analogia con la Quaresima, richiede a tutto il popolo e ai singoli fedeli un supplemento di impegno spirituale in vista di una crescita interiore più cosciente e di una vita cristiana più purificata e qualificata davanti a Dio e agli uomini.

Per questo l’antica tradizione liturgica ci offre dei riti singolari che caratterizzano i tempi forti dell’impegno ascetico (Avvento e Quaresima) e ne forniscono ulteriori ed efficaci mezzi di formazione, di orazione e di esercizio morale.

In tal senso la Chiesa raccomanda di promuovere la sacra celebrazione della parola di Dio in alcune ferie dell’Avvento e della Quaresima (cfr. SC 35) in modo da impartire al popolo cristiano una catechesi più abbondante mediante la sacra predicazione ed elevare a Dio una supplica più intensa ed insistente, affinché i cuori si aprano con maggior generosità al dono della grazia, che scaturisce soprattutto dalla recezione degna e fruttuosa dei santi Sacramenti.

Il supplemento liturgico, che caratterizza l’Avvento, consiste in specifiche celebrazioni della Parola di Dio, che possiamo chiamare Statio, e dai Vespri maggiori, che concludono l’Avvento e introducono immediatamente alla solennità del Natale del Signore.

Queste due forme di celebrazione integrano ed estendono i contenuti del mistero dell’Avvento già offerto nella Messa e nell’Ufficio quotidiani.

Ecco allora il rito della Statio, che può opportunamente essere celebrata nel tempo di Avvento, e che ora vogliamo proporre e descrivere nelle sue componenti fondamentali.

III     Le Statio dell’Avvento

La Statio si celebra nei mercoledì e venerdì del tempo di Avvento.

La solennità dell’Immacolata (8 dicembre) e i vespri maggiori delle ferie prenatalizie fanno si che le Statio si riducano a quattro: un numero del resto simbolico in relazione alle domeniche e alle settimane del tempo sacro.

Questo numero allude anche a quei simbolici quattro millenni, che intercorsero tra la creazione di Adamo e la venuta del Redentore, abbracciando l’intero arco dei secoli, che precedettero il Salvatore.

Per la celebrazione conviene convocare tutta la comunità (coro, ministranti, ecc.) e l’Eucarestia in questo giorno potrà essere celebrata al mattino.

Il rito si compone di quattro parti analoghe a quelle della Statio quaresimale: i riti d’inizio – la liturgia della parola – l’Invocazione alla divina Sapienza – i riti di congedo.

IV     Il riti d’inizio della Statio

(luci) Le luci della chiesa sono alquanto ridotte, ardono soltanto i ceri della ‘Corona dell’Avvento’, per esprimere le tenebre che ricoprono la terra immersa nel peccato e manifestare il graduale crescere della luce del Cristo che viene.

(ingresso) L’ingresso dei ministri si fa in silenzio (senza croce, incenso e ceri) evidenziando così il carattere austero della celebrazione.

(orazione) Il sacerdote, giunto ai piedi dell’altare e fatta la consueta riverenza, dopo un breve momento di sacro silenzio, allarga le braccia e canta l’orazione (senza dire: Preghiamo):

Excita, quaesumus, Domine, potentiam tuam et veni.

Questo incipit accomuna le orazioni classiche dell’Avvento romano e, continuamente ripreso e declinato in svariati toni, è in grado da solo di creare il clima liturgico tipico di questo tempo sacro di vigilante attesa.

La classica colletta della prima domenica di Avvento, composta da san Gregorio Magno, segna dunque l’inizio del rito e risuona inalterata in ciascuna delle quattro Statio:

Excita quaesumus, Domine, potentiam tuam, et veni: ut ab imminentibus peccatorum      nostrorum  periculis, te mereamur protegente eripi, te liberante salvari. Qui vivi set regnas.

 Ridesta la tua potenza, Signore, e vieni: nei pericoli che ci minacciano a causa dei nostri peccati la tua protezione ci liberi, il tuo soccorso ci salvi. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.   (MR, colletta del venerdì della II sett. di Avvento).

 (capitolo) Il cantore o il lettore, all’ambone, canta o proclama, a modo di capitolo, una singolare composizione di versetti biblici, che descrive davanti a Dio la triste situazione dell’umanità peccatrice e invoca un pronto intervento dall’alto.

I testi, diversi per ciascuna Statio, sono desunti rispettivamente da: Isaia, Osea, Michea e Abacuc.

(Rorate) Quindi i ministri si inginocchiano ai piedi dell’altare e con loro tutta l’assemblea si prostra per il canto più tipico dell’Avvento: Rorare caeli desuper col relativo testo Ne irascaris, Domine

E’ il solenne atto penitenziale col quale il popolo si prepara con intenso desiderio alla venuta del Redentore, facendo sua quell’invocazione di Isaia che costituisce il leitmotiv dell’Avvento e che la Chiesa non cessa di ripetere in ogni snodo della liturgia di questo tempo sacro:

Rorate caeli desuper et nubes pluant Justum; aperiatur terra, et germinet Salvatorem (Is 15,8).

Il versetto profetico coniuga in modo mirabile i due aspetti intrinseci del mistero dell’Incarnazione per il quale cielo e terra concorrono al dono del Redentore, che discende dai cieli secondo la natura divina (ex Patre natum ante omnia saecula) e sboccia dalla terra secondo la natura umana (ex Maria virgine).

Il canto del Rorate costituisce il primo dei due pilastri sui quali poggia il rito stazionale: come l’Inno esordisce nelle ore dell’Ufficio divino e il Cantico evangelico ne costituisce il vertice, così il Rorate sta all’inizio della Statio e il «Cantico alla divina Sapienza» ne costituisce il vertice.

(orazione conclusiva) Poi tutti si alzano e il sacerdote canta la significativa orazione: Oppressi a lungo sotto il giogo del peccato, che, inalterata, conclude sempre i riti iniziali di ogni Statio.

            Oppressi a lungo 

            sotto il giogo del peccato,

            aspettiamo, Padre,

            la nostra redenzione;

            la nuova nascita

            del tuo unico Figlio

            ci liberi dalla schiavitù antica.

           Per Cristo nostro Signore. Amen.          (MR, colletta del 18 dicembre)

 

[1] Martirologio Romano, CEI, 2004, p. 49

[2] SACRA CONGREGAZIONE DEI RITI, Norme universali sull’anno liturgico e il calendario, 21 marzo 1969, in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1976, vol. 3°, n. 929.

[3] MR, Prefazio I di Avvento.

[4] PIETRO DI BLOIS, sacerdote, Discorso III per l’Avvento, Lettura patristica dell’Ufficio di lettura del mercoledì della prima settimana di Avvento, in UNIONE MONASTICA ITALIANA PER LA LITURGIA, L’Ora dell’Ascolto, Torino, ed. Marietti, 1977, vol. I, p. 28.

[5] La preghiera del mattino e della sera, Conferenza episcopale italiana, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1989, p. 2.

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