LA CENTRALITÀ E IL PRIMATO DELLA LITURGIA NELLA DOTTRINA SULL’ECUMENISMO – seconda parte

Benedetto XVI e Bartolomeo I di Costantinopoli

 

4.  Parlavamo dunque della validità del sacramento dell’Ordine – e quindi dell’Eucaristia – presso i fratelli separati. Il sacramento dell’Ordine conferisce quindi un autentico carattere ecclesiale alle comunità cristiane, che lo hanno conservato integro, anche se non possiedono ancora la piena unità con l’unica Chiesa Cattolica. Cosa possiamo dire al riguardo?

Se poi si considera la validità dell’Ordine sacro negli orientali separati, diventa ancor più evidente la comunione.

Laddove i sacramenti dell’ordine e dell’eucaristia siano validi, si può teologicamente parlare di Chiesa.

In Lumen gentium n. 15, infatti si distinguono i termini: Chiesa e comunità ecclesiastica.

Ciò dimostra come talune confessioni cristiane possano essere chiamate Chiese per la permanenza in loro della validità dell’ordine e dell’eucaristia[1]

Questo riconoscimento e distinzione sono stati possibili, come già ricordato, solo con l’apertura all’ecclesiologia sacramentale e il superamento di quella strettamente giuridica.

Infatti, aver superato, nella ecclesiologia del Vaticano II, la divisione tra il potere di ordine e quello di giurisdizione e aver fatto fluire – come da sua fonte unica – ogni giurisdizione dal sacramento, ha permesso di riconoscere un’identità ecclesiale sul piano ontologico per cui le comunità ecclesiali dell’Oriente possono essere chiamate ‘Chiesa’ e sono realmente inserite in essa.

Se, invece si dovesse considerare il loro essere ecclesiale soltanto in base al vincolo giurisdizionale col Papa, come vorrebbe un’ecclesiologia prevalentemente giuridica, tale identità non potrebbe essere riconosciuta, in quanto esse risultano separate dal vincolo giuridico della comunione.

Nell’ecclesiologia sacramentale si scende in profondità e si rileva la presenza di quel reale carattere ontologico che configura i loro ministri quali veri successori degli Apostoli, investiti della loro autorità mediante l’ordinazione sacramentale.

Si è visto allora che sacerdozio ed eucaristia validi fondano un tessuto ecclesiale ontologicamente sussistente, anche se ancor privo della totalità delle condizioni soprannaturali stabilite dal Signore, quali il vincolo visibile della comunione cum et sub Petro.

5.  In modo analogo penso che possiamo asserire che anche il sacramento dell’Ordine, come già il Battesimo, è pervaso da una dinamica soprannaturale, che spinge verso l’unità cattolica?

Ma infuso il carattere dell’Ordine, esso porta in sé potenzialmente anche il suo triplice munus: docendi, sanctificandi et gubernandi.

Ciò significa che i ministri sacri orientali, ordinati validamente, portano in loro la potenziale spinta verso sia la pienezza del dogma della fede dell’unica Chiesa cattolica, sia verso l’unità visibile, al contempo carismatica e giuridica, con Pietro e l’intero Collegio episcopale universale.

Essi in qualche modo, ma realmente, hanno ricevuto e contengono in loro quella piena unità che attende solo di essere esplicitata e portata alle sue piene conseguenze.

Si tratta più che di dare a loro ciò che manca, di liberare in loro quella potenzialità nascosta che il sacramento conserva, anticipa ed esige.

Si comprende allora ancora una volta come il passaggio da un’ecclesiologia giuridica all’ecclesiologia sacramentale – che in realtà non è che un ricupero dell’antica e perenne ecclesiologia della Chiesa di sempre – abbia consentito al Vaticano II di approfondire la dottrina dell’ecumenismo e trovare nel sacramento conferito validamente il substrato essenziale dell’appartenenza ecclesiale, che unisce veramente anche se non pienamente molti tra i nostri fratelli separati.

Su questa base il Concilio può affermare:

è questa l’unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica, e che il Salvatore nostro dopo la sua risurrezione, diede da pascere a Pietro (Gv 21, 17), affidandone lui e agli altri Apostoli la diffusione e la guida (Mt 28, 18 ss.), e costituì per sempre colonna e sostegno della verità (1 Tim 3, 15). Questa Chiesa, in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, quali doni propri della Chiesa di Cristo, spingono verso l’unità cattolica (LG 8).

6.  La Chiesa di Cristo – afferma il Concilio – sussiste dunque nella Chiesa Cattolica. Sappiamo a quante interpretazioni si è prestata questa parola: sussiste cioè subsistit. Il termine è assunto dal Vaticano II proprio per comporre insieme la pienezza di fede e di grazia proprie della Chiesa Cattolica con i contenuti parziali della medesima fede e grazia presenti nei fratelli separati e nelle loro comunità ecclesiali. Possiamo chiarire meglio questo concetto?

Mediante il termine subsistit il Vaticano II intende da un lato affermare l’Unicità della Chiesa e la sua Unità – qualità che la Chiesa cattolica e soltanto essa non ha mai deposto, né mai potrà perdere[2] – dall’altro al contempo riconoscere validità ed efficacia a quei molti elementi di verità e di santificazione, che i fratelli, separatisi in varie epoche e per diverse circostanze dall’unica Chiesa, hanno portato con sé, continuano a mantenere ancor oggi e da essi sono efficacemente alimentati.

Tali elementi sono propri del patrimonio dell’unica Chiesa di Cristo e per la loro stessa costituzione genetica spingono interiormente alla piena unità tutti coloro che, ancor lontani, li conservano e li usano[3].

Il termine subsistit è l’espressione teologica più stringata e il termine più sintetico con cui il Concilio ha ratificato e ha voluto condensare la dottrina ecclesiologica di sempre, che in seguito a una complessa e delicata discussione e precisazione conciliare, ha individuato nel sacramento il substrato ontologico soprannaturale della Chiesa, delineando il diritto nel suo ruolo successivo e ancillare, quale necessario intervento autoritativo della Chiesa per garantire la sviluppo equilibrato e l’azione coordinata della potenza interiore della grazia in un corpo organico e poliedrico quale è la Chiesa.

7.  Benedetto XVI usa il termine subsistit per dichiarare la presenza di Cristo nella liturgia, lasciando intendere in tal modo che la Sua azione va oltre la liturgia, operando con minore intensità anche in altri modi nella vita della Chiesa. Può costituire un’analogia anche per comprendere l’ecumenismo?

Il papa Benedetto XVI applica il termine subsistit alla presenza attiva e operante di Cristo e del suo mistero nell’azione liturgica.

In tal senso la grazia salvifica comunicata in gradi e forme diverse nella vita della Chiesa, trova tuttavia la sua più alta intensità nella celebrazione liturgica:

Nell’azione liturgica della Chiesa sussiste la presenza attiva di Cristo: ciò che ha compiuto nel suo passaggio in mezzo agli uomini, Egli continua a renderlo operante attraverso la sua personale azione sacramentale, il cui centro è costituito dall’Eucaristia[4].

L’analogia è interessante e illuminante: come la liturgia costituisce il vertice dell’attuazione del Mistero pasquale in un complesso ben più vasto e diversificato all’interno della sacramentalità della Chiesa, così la Chiesa Cattolica, Una e Unica, realizza il grado sommo della presenza e dell’azione della grazia salvifica rispetto alle altre autentiche realtà ecclesiali da essa separate, ma necessariamente, a diversi livelli, a essa correlate e connesse.

In conclusione, mi sembra evidente che ritorniamo alla tesi iniziale:  l’approccio del Concilio Vaticano II in merito alle comunità cristiane separate ha il suo riferimento nel  sacramento.

Veramente anche in questo settore della vita della Chiesa, il primato e la centralità della liturgia emergono sovrani, riconducendo ogni cosa al primato dell’azione di Dio, che, ancor prima che l’uomo lo invochi, già risponde e nel mentre si impegna nel dialogo ecumenico già si ritrova unito nell’intima – iniziale, ma reale – ontologia del sacramento.

«Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati» (Is 65, 24).

* * *

L’intento liturgico del Concilio Ecumenico Vaticano II si inscrive senza dubbio nell’orizzonte delle grandi opere che Dio compie per la sua Chiesa, come in modo eloquente attesta dom Gérard Calvet, fondatore e primo Abate del monastero francese di Le Barroux:

Tre miracoli fioriscono continuamente nel giardino della Sposa di Cristo: la sapienza dei suoi dottori, l’eroismo dei suoi santi e dei suoi martiri, lo splendore della sua liturgia. Et hi tres unum sint! Questi tre elementi sono ‘una cosa sola’ perché la liturgia è per se stessa un canto unico di sapienza e di amore: essa riassume i due ordini dell’intelligenza e della carità e li sublima in preghiera [5].

[1] Congregazione per la Dottrina, Dominus Jesus, in EnchVat, XIX, n. 1183: «Esiste quindi un’unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui. Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la validità eucaristica, sono vere Chiese particolari. Perciò anche in queste Chiese è presente e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa Cattolica, in quanto non accettano la dottrina cattolica del primato che, secondo il volere di Dio, il vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa».

[2] Concilio Ecumenico Vaticano II, Unitatis redintegratio, n. 4: «unità di una sola ed unica Chiesa, che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa Cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più, fino alla fine dei secoli».

[3] Congregazione per la Dottrina, Dominus Jesus, in EnchVat, XIX, n. 1182: «Con l’espressione ‘sussiste nella’, il concilio Vaticano II vuole armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua a esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall’altro lato ‘l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine’, ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica. Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che “il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica”».

[4] Benedetto XVI, Discorso al Pontificio Istituto Liturgico, in OR, 7 maggio 2011, p. 1.

[5] G. Calvet, La santa liturgia, p. 7.

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