LA CENTRALITÀ E IL PRIMATO DELLA LITURGIA NELL’ECCLESIOLOGIA DELLA ‘LUMEN GENTIUM’ – prima parte

DON ENRICO FINOTTI

1.  Con il Vaticano II si assiste definitivamente ad un cambiamento di prospettiva. L’ecclesiologia ha ora come punto di partenza da dimensione liturgico-sacramentale mentre la dimensione giuridica – seppur importante – viene dopo. Perché questo cambiamento nel modo di concepire il Mistero della Chiesa?         

Possiamo affermare in senso generale che l’ecclesiologia del Vaticano II si configura come ecclesiologia sacramentale rispetto all’ecclesiologia precedente, prevalentemente giuridica.

In altri termini, nel Vaticano II vi è il primato del sacramento sul diritto; dell’azione precedente, sovrana e fondante di Dio rispetto alla sua determinazione giuridica; della struttura ontologica soprannaturale che scende come dono dall’alto, rispetto al pur necessario vincolo giurisdizionale.

In breve il primato della grazia divina sulla legge umana.

La scelta di prospettiva non implica alcuna negazione dei due termini – grazia e diritto – ma un’esposizione più organica, che riconosce alla grazia il primato ontologico e temporale.

Per questo non si tratta di mutare sostanzialmente l’ecclesiologia di sempre, ma di approfondirla ed esporla in modo che ne risulti con maggior chiarezza il nesso interiore tra l’azione sacramentale dell’intervento di Dio e la sua determinazione ordinata in leggi coerenti e vincoli gerarchico-comunionali entro le coordinate storiche in cui vive il popolo di Dio.

Da un capo all’altro, il Concilio, che ha provvidenzialmente cominciato con la Costituzione sulla sacra liturgia, è stato spinto a passare dalle strutture esterne all’affermazione dell’ontologia di grazia, fondata in quelle ‘reliquie dell’Incarnazione’ che sono i sacramenti, secondo l’espressione di un teologo medioevale. Si tratti dell’episcopato, dei laici, o, in altri testi conciliari, del sacerdozio o dei fratelli separati, si è sempre arrivati ai fondamenti ontologici della dignità o dell’esistenza cristiana (Y. Congar, «In luogo di conclusione», in G. Baraúna, ed., La Chiesa del Vaticano II, p. 1268).

«Nulla viene negato del carattere giuridico della Chiesa che, ove occorre, ha i riferimenti avuti da sempre. Non si tratta di contraddizione, ma di completamento in una visione più ampia e più profonda. Non si tratta neppure di novità, perché è facile reperire tutti questi elementi nella letteratura ecclesiastica antecedente, ma piuttosto sparsi. Mai li troviamo raccolti tutti insieme in un rilevato documento ecclesiastico….Ha soltanto messo tutto in una cornice più vasta, non nuova, ma di rado presentata così rilevata ed intera» (G. Siri, La giovinezza della Chiesa, p. 159).

2. Con il battesimo ogni individuo viene inserito a Cristo, solo con il battesimo si diventa cristiani e si attua l’ascrizione anche giuridica alla Chiesa Cattolica. Vi è quindi chiaramente un primato del sacramento sul diritto.

 Il primato del Sacramento risulta in primo luogo nel fondamento proprio della dignità del cristiano in quanto tale.

Esso, infatti, è creato e assunto quale membro vivo della Chiesa per mezzo del battesimo, che precede e fonda ogni riconoscimento giuridico del diritto canonico.

L’essere cristiani, l’aver ricevuto il santo battesimo, non dev’essere considerato come cosa indifferente o trascurabile; ma deve marcare profondamente e felicemente la coscienza d’ogni battezzato; deve essere davvero considerato da lui, come lo fu dai cristiani antichi, un’illuminazione, che facendo cadere su di lui il raggio vivificante della verità divina, gli apre il cielo, gli rischiara la vita terrena, lo abilita a camminare come figlio di Dio, fonte d’eterna beatitudine ( Paolo VI, Ecclesiam suam, in EnchVat, II, n. 179).

È il sacramento che pone le basi della Chiesa popolo di Dio, il diritto ne determinerà l’ordinata convivenza in un corpo organico come essa è e ne specificherà i diritti e i doveri, già conferiti dalla grazia sacramentale.

In questa prospettiva si comprende la scelta conciliare di far precedere il capitolo sul popolo di Dio a tutti i successivi capitoli della Lumen Gentium.

L’intero popolo di Dio con tutte le sue componenti interne – gerarchia, laici e religiosi – è costituito tale dal battesimo e precisamente dai tre sacramenti che formano un’unità col battesimo stesso, i sacramenti dell’Iniziazione cristiana: battesimo, confermazione ed eucaristia.

Questo triplice e internamente indissolubile evento sacramentale è il cardine su cui poggia la Chiesa e ciascuno dei suoi figli, pastori e fedeli.   

Il sacramento al contempo conferisce al cristiano la sua triplice identità, a immagine del Signore: è infatti costituito in Cristo profeta, sacerdote e re, ossia è investito del medesimo ufficio profetico, sacerdotale e regale.

Egli ‘per Cristo, con Cristo e in Cristo’, accoglie e testimonia la Parola, si offre e offre il sacrificio di soave odore e governa se stesso, la storia, il cosmo nella libertà dei figli di Dio.

Ebbene tutto questo evento ontologico da cui fluisce questa triplice missione del cristiano è ricevuto mediante il sacramento.

Ciò significa che la liturgia ha il primato e la centralità nel costituire l’essere stesso della Chiesa a partire da ogni suo membro.

In seguito, si intende, il diritto positivo ecclesiale dovrà nelle varie contingenza storiche determinare, interpretare e canalizzare con ordine e frutto questa potenza di grazia che il sacramento ha conferito.

In tal senso si può vedere come il diritto sia ‘ancillare’ al sacramento e la dignità di ogni cristiano sia fondata direttamente in Dio sicché nessuna autorità umana la potrà mai cancellare.

È così evidente come la Chiesa sia assolutamente un’opera di Dio affidata agli uomini, non da essi creata, ma solo giuridicamente ordinata e adeguatamente potenziata. La dottrina è ben espressa nel Can. 204 § 1 (CDC 1983):

I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo.

Sull’affermazione di questa base sacramentale comune il Vaticano II potrà dar grande importanza alla dignità e responsabilità di tutti i fedeli nella Chiesa, ancor prima della loro posizione giuridica, e solo conseguentemente sviluppare la dottrina e la missione delle varie categorie dei fedeli entro l’unico popolo di Dio: i fedeli pastori (LG III), i fedeli laici (LG IV), i fedeli religiosi (LG VI).

Se, invece, si dovesse ritornare a un’impostazione che privilegi l’aspetto giuridico dei fedeli nella Chiesa, allora – pur sottintendendo la necessità del sacramento – l’esposizione teologica sarebbe impostata diversamente: la gerarchia, i religiosi e i laici, ma metterebbe in primo piano ciò che è successivo e tenderebbe a un’accentuazione esorbitante della differenza e della dipendenza che il diritto specifica e comanda.

Tuttavia in tal modo ciò che è ontologicamente previo e fondante diventerebbe secondario e l’uguaglianza della dignità di tutti i fedeli sarebbe messa in minor luce.

Fu questa la impostazione prevalentemente giuridica della ecclesiologia precedente.

Il primato del sacramento allora dichiara il primato della liturgia, essendo il sacramento di essa parte essenziale: è per questo che essa risplende chiaramente come la base propria e la fonte vera dell’ecclesiologia del Vaticano II.

Si intende, tuttavia, che non vi è qui nessuna variazione di dottrina, ma una diversa accentuazione, una più profonda comprensione e una migliore esplicazione.

3.  Anche per comprendere correttamente la realtà dell’ordine sacro cioè del sacerdozio è necessario ricorrere alla prospettiva sacramentale. Il vescovo non ha solo un ruolo di preminenza in una determinata una giurisdizione ecclesiastica. Il sacramento infatti eleva ontologicamente – cioè nel suo essere – la persona chiamata a svolgere quest’ufficio.

Il primato e la centralità della liturgia è determinante in un modo del tutto straordinario nell’impostazione della dottrina sull’Ordine sacro contenuta nel cap. III della Lumen gentium.

«Il sacerdozio è non semplicemente ‘ufficio’, ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’» (Benedetto XVI, Omelia nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, in OR, 12 giugno 2010, p. 4).

Si trattava di stabilire con maggior chiarezza la dottrina sulla sacramentalità dell’episcopato.

Tale dottrina rappresenta il cardine portante da cui sarebbero derivate delle conseguenze teologiche di prim’ordine:

  • l’origine sacramentale del triplice munus nei vescovi;
  • il fondamento ontologico della collegialità episcopale;
  • e la giustificazione sul piano ontologico della Chiesa particolare.

 

Ebbene tutto parte dalla definizione relativa alla sacramentalità dell’episcopato.

Ed ecco che venne superata la distinzione medioevale tra potere di ordine e potere di giurisdizione, secondo la quale, mentre il vescovo riceveva il sacerdozio dall’ordinazione sacramentale, era tuttavia investito dal Papa del potere di giurisdizione, che implicava i due specifici uffici di magistero e di governo nella Chiesa.

La visione giuridica dell’episcopato si trovava incapace di collegare l’intero triplice ufficio episcopale all’unica sua fonte, il sacramento dell’Ordine sacro, attingendo da esso il solo munus santificandi, ma derivando da altra fonte, di natura giuridica gli altri due munus, docendi e gubernandi.

La scelta del Vaticano II unì quindi la totalità del ministero episcopale nel sacramento, che dichiara come la liturgia stia a fondamento del ministero gerarchico nella Chiesa.

Certo dovrà seguire la determinazione giuridica per organizzare con ordine ed efficacia pastorale l’Ordo episcoporum – ciò è richiesto dalla natura stessa dell’essere un Ordo, ossia un organismo composito – e questa la eserciterà il Papa, ma tale determinazione sarà successiva e con semplice valore giuridico e non ontologico-fondativo, quale invece è il sacramento.

In questa prospettiva sia l’esercizio del magistero, come quello del governo non sono ricevuti dal Sommo Pontefice, ossia non possono essere considerati una creazione del diritto pontificio.

In tal senso i vescovi sarebbero dei vicari del Papa e non avrebbero autorità propria fondata sul diritto divino.

I vescovi sono invece costituiti tali e in tutta l’estensione del loro triplice ministero dal sacramento dell’Ordine.

«può essere utile una breve osservazione sulla parola ‘gerarchia’, che è la designazione tradizionale della struttura di autorità sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del Sacramento dell’Ordine: episcopato, presbiterato, diaconato… Generalmente, si dice che il significato della parola gerarchia sarebbe ‘sacro dominio’, ma il vero significato non è questo, è ‘sacra origine’, cioè: questa autorità non viene dall’uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento; sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la ‘gerarchia’, non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di obbedienza a Cristo: è legato a Lui in comunione con gli altri membri del sacro Ordine, del Sacerdozio»(BENEDETTO XVI, Udienza del mercoledì, 26 maggio 2010, in OR, 27 maggio 2010, p. 1).

Sono stabiliti nella Chiesa dallo Spirito Santo per via sacramentale e non per la mediazione del Papa.

Anche il munus sanctificandi dei vescovi non è semplicemente quello comune ai presbiteri, ma essi sono costituiti sommi sacerdoti in modo che da un lato dal loro ministero fluisca la trasmissione dell’Ordine ai presbiteri, dall’altro essi rimangano in permanenza il fondamento che garantisce nella Chiesa la celebrazione legittima dell’eucaristia e dei sacramenti.

Vi è quindi nel munus sanctificandi dei Vescovi quel plus che li fa essere canali e cardini del munus sanctificandi comunicato da Cristo per via sacramentale ai presbiteri. Si supera in tal modo quella visione che, non valutando a sufficienza l’eminenza del sacerdozio nel vescovo rispetto al presbitero, portò alla perplessità teologica in ordine alla stessa sacramentalità dell’episcopato.

In questa luce si comprende l’eminenza della Messa stazionale del Vescovo, circondato dai suoi ministri e da tutto il popolo, rispetto alla Messa del presbitero.

Il mistero che si realizza è identico, ma il ministero che opera, opera in maniera eminente nel vescovo, relativa a quest’ultimo nel presbitero (SC 41-42).

«Dalle lettere Ignaziane non meno che da tutti gli scritti dei primi secoli, è facile rilevare come il vincolo unitario nella Chiesa è costituito dal vescovo, non solamente come autorità, ma altresì e soprattutto come liturgo, cioè esecutore ufficiale degli atti liturgici nelle assemblee del culto e in particolare del sacrificio eucaristico. S. Giustino, nella prima descrizione della Messa che presenta la storia liturgica, ci mostra attorno all’altare del vescovo celebrante col suo clero, e con tutti i membri della sua Comunità, venuti da ogni parte: omnes sive urbes, sive agros incolentes. Nelle mani del Vescovo sta, colla celebrazione dell’Eucaristia, l’amministrazione in via normale di tutti i sacramenti. I preti concelebrano con lui, ed officiano separatamente, ma per suo ordine e per sua delegazione. Nella città episcopale non c’è che una sola Chiesa, una sola cattedra, un solo altare, un solo sacrificio, quello del vescovo. Con questa disciplina si spiega l’origine della Messa stazionale, e, in misura più ridotta, il carattere peculiare che conserva tuttora la Messa del Parroco, rappresentante del Vescovo nelle parrocchie lontane» (M. Righetti, Storia liturgica, IV, pp. 424-425).

L’unione dei tria munera sorgenti e alimentati dall’unica fonte sacramentale, ovverosia l’Ordine, dimostra nuovamente la centralità e il primato della liturgia (sacramento) nell’intero triplice ministero del vescovo.

La liturgia sta dunque a fondamento non solo del munus sanctificandi, ma anche del munus docendi e del munus gubernandi.

È dalla grazia sacramentale dell’Ordine che il vescovo annunzia il Vangelo con l’autorità di Cristo, presiede il sacrificio come Sommo sacerdote e governa con la stessa potestà del Signore il popolo a lui affidato.

Il diritto certamente dovrà intervenire e accompagnare sempre tutta l’attività ministeriale del vescovo.

Infatti sarà il diritto, che nel Sommo Pontefice ha la sua più alta espressione, che dovrà stabilire le condizioni di validità del magistero episcopale, le condizioni di legittimità della celebrazione dei sacramenti e le condizioni di validità degli atti di governo.

Questo è intrinsecamente necessario per la natura corporativa del collegio episcopale nel quale ogni vescovo deve agire nella comunione con l’intero Ordo episcoporum per essere insieme e singolarmente l’unica sentenza dottrinale di Cristo, l’unica sua azione santificante e l’unico suo governo pastorale.

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