IL CARATTERE SACRO DELLA LITURGIA DELLA PAROLA – seconda parte

Proclamazione solenne del Vangelo – Basilica Cattedrale di San Marco – Venezia

DON ENRICO FINOTTI

2.  La liturgia della Parola è un atto di culto

Nella Liturgia, infatti, Dio parla al suo popolo; Cristo annunzia ancora il suo Vangelo. Il popolo a sua volta risponde a Dio con i canti e con la preghiera (SC n. 33). 

Vi è differenza tra una catechesi, una lezione accademica, una conferenza, ecc. e liturgia della Parola. Nella liturgia della Parola è Dio il protagonista, mentre in questi altri incontri è direttamente la competenza degli uomini, per quanto siano opportunamente santi. Nella liturgia della parola tutti sono rivolti al Signore (conversi ad Dominum).

Nella liturgia della Parola si realizza il duplice movimento proprio dell’atto di culto: discendente: Dio parla al suo popolo e lo illumina interiormente con la luce dello Spirito Santo; ascendente: il popolo risponde col canto e la preghiera.

Questo singolare dialogo di alternanza tra Dio e il popolo percorre l’intero tessuto della Liturgia della Parola: 1° lettura – salmo responsoriale – 2° lettura – acclamazione – Vangelo – l’omelia è il raccordo tra il movimento discendente e quello ascendente: porta a compimento la esplicazione della Parola di Dio e dispone il popolo ad una risposta adeguata – il Credo porta compimento il movimento ascendente e grato della risposta di fede del  popolo (è il vertice latreutico della liturgia della Parola e per questo si canta) – infine la preghiera universale invoca ancora la discesa della divina grazia.

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“E’ lui che parla quando nella Chiesa si leggono le sacre Scritture (SC n. 7)

e le letture della parola di Dio

… si devono ascoltare da tutti con venerazione” (PNMR n. 2)

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3.  I segni del sacro nella liturgia della Parola:

Il mistero soprannaturale e invisibile deve essere manifestato con segni naturali e visibili, che costituiscono l’insieme di una celebrazione liturgica. Eccone alcuni:

La preziosità dei libri contenenti la Parola di Dio: l’Evangeliario e i Lezionari;

I movimenti processionali: l’ingresso introitale con l’Evangeliario e la processione all’ambone tra incensi, ceri e acclamazioni;

i protocolli di inizio e termine della pericope evangelica e delle lezioni;

la salmodia intercalare, le acclamazioni;

il sacro silenzio;

la cantillatio del vangelo e anche delle lezioni;

la sacralità del luogo della proclamazione (l’ambone) e del ministro che proclama (sacerdote, diacono, lettore e cantore)

 

4.  Il luogo della Parola: l’ambone

L’altare e l’ambone sono le primizie dei luoghi liturgici, nati nell’antichità insieme e uniti dal medesimo criterio della monumentalità (non è quindi una creazione del Vaticano II).

L’ambone è il luogo liturgico proprio e stabile per celebrare il mistero di Dio che parla al suo popolo. Quindi la proclamazione della parola di Dio non deve avvenire in un luogo qualsiasi seguendo il criterio della sola funzionalità. (non dall’altare, non dalla sede, non da un microfono vagante, non dalla navata). Salire all’ambone è il primo atto col quale si     dichiara l’importanza della Parola di Dio e della sua proclamazione.

Nelle chiese storiche è necessario usare l’ambone monumentale per celebrare oltre che con la massima dignità, anche nella continuità con la tradizione secolare. Se per le Messe    quotidiane basterà un decoroso leggio nel presbiterio, nelle solennità e anche nelle domeniche è quanto mai opportuno salire sull’ambone (o pulpito) storico (facilitati dal       microfono) per dare la misura alta del mistero di Dio che parla al suo popolo.

Nessun altro deve salire all’ambone per dare delle comunicazioni generiche o fare discorsi di circostanza durante i riti. Inoltre l’ambone non deve essere usato fuori della celebrazione liturgica (conferenze, concerti, commemorazioni, ecc.). Se si cede su questo punto il popolo di Dio non percepirà più la sacralità dell’ambone e della Parola di Dio che su di esso viene proclamata.

La forma, l’arte e la cura dell’ambone devono poter testimoniare anche fuori delle celebrazioni l’importanza del luogo e annunziare il mistero del Dio che parla al suo popolo a chiunque passa davanti ad esso. Ce ne danno mirabile testimonianza i mirabili amboni e pulpiti delle secolari basiliche cristiane.

5.  I ministri della Parola: sacerdote, diacono e lettore

La proclamazione liturgica della Parola di Dio non è lasciata alla mercé di chiunque, ma nella tradizione della Chiesa è affidata a ministri idonei competenti e opportunamente costituiti con una speciale benedizione liturgica che conferisce una grazia specifica per questo servizio.

Il sacerdote, segnato dal sacro ordine del presbiterato, è il ministro consacrato ad annunziare la Parola del Signore con la stessa autorità di Cristo, che scaturisce dal carattere del sacramento dell’ordine. Similmente ad un grado inferiore il diacono a cui compete la   proclamazione del Vangelo che riceve fin dalla sua ordinazione diaconale. Anche i lettori,   tuttavia potrebbero ricevere l’istituzione con la relativa benedizione e con il loro abito    liturgico proclamare degnamente le lezioni dell’Antico e del Nuovo Testamento (il suddiacono è nel vetus ordo il ministro dell’epistola).

E’ comunque necessario che i lettori de facto, che prevalentemente ormai proclamano la Parola di Dio, non abbassino la percezione del sacro nell’esercizio del loro ministero. Non è facile per i fedeli cogliere con immediatezza il carattere sacro della celebrazione quando il  ministero si presenta con abiti secolari. Si tratta di valutare con moderazione e buon gusto come ovviare a questo inconveniente. Già il rito ambrosiano, con la benedizione al lettore, tende ad elevarne il suo servizio con un richiamo alla sacralità e alla dignità.

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