Veglia e santa Messa di mezzanotte (2)

Profeta, Santiago di Compostela, Portico della Gloria

II         LA SALMODIA E LE PROFEZIE

 Con l’Exultet termina il lucernale e si entra nella salmodia, intrecciata con la proclamazione della Parola di Dio. Nella liturgia cattolica vi sono due schemi di liturgia della Parola: quello della Messa – assunto e alquanto esteso nella Veglia pasquale – e quello dell’Ufficio delle letture, adottato qui nella Veglia natalizia. Ma, anziché premettere la salmodia e far seguire le letture, si è scelto un modello intrecciato: salmo, lettura biblica, responsorio, orazione. Si ripropone in questo modo la tradizione dei tre notturni, tipici dell’Ufficio antico e classico.

Veglia e santa Messa di mezzanotte (1) – Christus natus est nobis: venite adoremus!

 Lorenzo di Credi, Natività

Questa Veglia natalizia offre una concreta proposta celebrativa in ordine a ciò che affermano le Premesse generali alla Liturgia delle Ore, al n. 71:

Sul modello della Veglia pasquale, si introdusse nelle diverse Chiese la consuetudine di iniziare con una veglia altre solennità: tra queste primeggiano il Natale del Signore e la Pentecoste. E’ un uso che merita di essere conservato e promosso…”.

Alla luce poi di ciò che si afferma nelle medesime Premesse, al n. 215:

Nella notte del Natale del Signore conviene che prima della Messa si celebri la Veglia solenne con l’Ufficio delle letture”.

la Veglia si ispira allo schema dell’Ufficio di lettura di Natale, accogliendone gli elementi liturgici propri, ma, al contempo, arricchendoli con riti e contenuti ancor più specifici in ordine al grande Mistero. In tal modo la Veglia assume un carattere spiccato di popolarità e dispiega un ventaglio più esteso di testi, di preghiere e di simboli per una maggiore incisività mistagogica e spirituale.

E’ costituita da tre parti:

  1. La liturgia della luce nel contesto dell’Invitatorio.
  2. La liturgia della parola, intrecciata alla salmodia.
  3. La celebrazione eucaristica di mezzanotte

La pausa, che sospende brevemente il ritmo celebrativo tra l’Ufficio e la Messa, consente di attendere la mezzanotte, come l’Ora competente per proclamare l’Annunzio della nascita del Signore, cantare l’Inno angelico e proseguire con la celebrazione solenne del Sacrificio eucaristico in nocte.

1. Il Concilio Ecumenico Vaticano II: atto del Magistero supremo e universale della Chiesa Cattolica

don Enrico Finotti

da   Il Concilio Vaticano II, 50 anni dopo 

Il Signore, Buon Pastore, guida sempre la sua Chiesa mediante il ministero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. Essi sono custoditi dallo Spirito Santo, affinché insegnino e governino il popolo di Dio nella verità e secondo il cuore di Cristo. Non si può parlare di fedeltà a Cristo, senza la fedeltà al magistero della sua Chiesa: «Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato» (Lc 10, 16). Non si cammina quindi nel retto sentiero e nella volontà di Dio rifiutando la voce autentica dei Documenti conciliari, che vanno letti in ginocchio[1]. I Documenti autentici del Concilio Ecumenico Vaticano II vanno accettati, meditati e osservati con convinta adesione e obbedienza di fede al magistero supremo della Chiesa Cattolica.

LA LITURGIA IN TEMPO DI CALAMITÀ – prima parte

Beato Angelico, Vita dei santi Cosma e Damiano

don Enrico Finotti

L’inaspettata situazione di emergenza, estesa a livello mondiale, ha influito pesantemente anche sulle celebrazioni liturgiche con la partecipazione del popolo. Dall’inizio della scorsa Quaresima 2020 i fedeli si sono trovati di fronte a due generi di problematiche: la privazione a tempo indeterminato dei Sacramenti e l’offerta ampia e variegata di celebrazioni virtuali nelle varie modalità mediatiche. Da questo fatto ha preso notevole interesse anche una «pastorale telematica», prima impensata, e che ora stimola la fantasia dei sacerdoti per un suo impiego sempre più esteso e mirato. Vi é allora l’urgenza di offrire alcune indicazioni essenziali per orientare ed alimentare la spiritualità del popolo di Dio nel presente stato di necessità. L’isolamento prolungato, inoltre, ci stimola a riprendere le nozioni basilari del catechismo, sia riguardo alla dottrina della fede, sia riguardo alla celebrazione della liturgia e alla vita spirituale, sia riguardo alla difesa e all’incremento della vita di grazia, per uscire dalla prova con meno danni possibili, e forse ancora più preparati e rinvigoriti nella nostra professione di fede cattolica. 

IL CREDO DEL POPOLO DI DIO – terza parte

Sessione solenne del Concilio Ecumenico Vaticano II

V       Il grado di autorità magisteriale del Credo del popolo di Dio pronunziato da Paolo VI

Una grande sicurezza per tutti i pastori e i fedeli cattolici é data dal notevole grado di autorità che tale Professio fidei esibisce. Ciò risulta dall’espressa intenzione magisteriale del Papa e dalla inusitata solennità del protocollo che la presenta. Infatti si dice: «Noi sappiamo che le anime attendono la parola del Vicario di Cristo, e Noi veniamo incontro a questa attesa con le istruzioni che normalmente amiamo dare. Ma oggi Ci si offre l’occasione di pronunciare una parola più solenne»[1].

IL CREDO DEL POPOLO DI DIO – seconda parte

Giovanni Francesco da Rimini- Apostoli Filippo e Paolo – sec. XV

 

III     Rapporto tra il Credo del popolo di Dio di Paolo VI e la Professione di fede tridentina

L’atto di magistero del papa Paolo VI ha un precedente e una singolare analogia nella Professione di fede tridentina, formulata dal papa Pio IV nella Bolla Iniunctum nobis (13 nov. 1564), dopo la chiusura del Concilio di Trento. Con tale testo il Papa intendeva raccogliere in estrema sintesi la dottrina dogmatica definita nel Tridentino in modo che soprattutto il clero e i teologi potessero aderire pienamente e facilmente al dogma della fede e contrastare con efficacia l’eresia ormai dilagante. Alla testo integrale del Credo niceno-costantinopolitano seguivano alcuni asserti dottrinali specifici in ordine ai dogmi appena definiti nel Concilio tridentino e negati dagli eretici. Il Papa ritenne che, data la vastità e l’insidia dell’eresia, occorresse una Professio fidei più dettagliata per troncare alla radice quelle verità che venivano negate. Nella Professione di fede tridentina, quindi, i fedeli avevano una precisa norma per la retta recezione del Concilio tridentino e uno scudo di difesa contro l’eresia. Dopo il Concilio Vaticano I la Professio fidei Tridentina venne integrata con i brevi inserti relativi alle nuove definizioni dogmatiche (infallibilità e primato del Romano Pontefice). La medesima logica fu assunta anche dal papa san Pio X, che, per contrastare efficacemente il modernismo, impose il Giuramento antimodernista, che riproponeva sostanzialmente gli asserti dogmatici definiti nel Concilio Vaticano I, ma non recepiti, anzi rigettati dai modernisti. Ebbene analogamente il papa Paolo VI a tre anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II si trovò nella necessità di promulgare un’ampia e dettagliata Professio fidei con il medesimo intento che ebbe il papa Pio IV dopo il Tridentino e san Pio X nella crisi modernista successiva al Vaticano I. Possiamo tuttavia rilevare che, mentre la Professio fidei Tridentina si limitava ad addizioni aggiunte al testo integrale dell’antico Credo niceno-costantinopolitano, contrastando gli errori dottrinali bene individuati,  la Professio fidei di Paolo VI abbraccia l’intero testo del Credo niceno-costantinopolitano, commentandone ogni sua parte. Ciò fa pensare. La crisi postconciliare si presenta con una tale vastità e profondità che nessun articolo della fede cattolica ne é al riparo. Paolo VI, infatti, percepiva con intima sofferenza il grande pericolo insorgente per l’intero complesso della Fede, quando nella Esortazione apostolica Quinque iam anni (8 dic. 1970) scriveva:

Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta, che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi[1].

  

IL CREDO DEL POPOLO DI DIO – prima parte

 

I         Rapporto tra la retta interpretazione del Concilio Vaticano II e la retta interpretazione della riforma liturgica

  1. La critica al Vaticano II coinvolge anche la critica alla riforma liturgica

L’odierno dibattito sulla liturgia, sia a livello dottrinale, sia a livello celebrativo, trova ancora una pesante remora nelle contrastanti interpretazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II. Infatti, sembra sempre più accreditata e diffusa la critica alla riforma liturgica non solo riguardo alla sua erronea applicazione postconciliare – come é doveroso – quanto piuttosto riguardo agli stessi principi ispiratori assunti dal Magistero conciliare riguardo alla liturgia e soprattutto si nota una crescente perplessità verso la stessa editio typica dei libri liturgici promulgati dai Sommi Pontefici a norma dei decreti del Concilio Vaticano II. Si intende quanto sia teologicamente diversa e delicata la critica diretta ai documenti autentici del Concilio e agli atti autentici dei Sommi Pontefici postconciliari, rispetto alla critica rivolta a studi teologici e liturgici discutibili e a realizzazioni pratiche abusive dei vigenti libri liturgici.