La Mezzanotte santa

 

* Si assiste oggi ad una progressiva incrinatura della tradizione liturgica classica della notte di Natale. Infatti, nel tempo che intercorre tra l’ora del vespro e la mezzanotte del 24 dicembre, si diffondono sempre più due orientamenti: – si celebra la ‘messa della notte’ in ore precedenti alla mezzanotte (ore 20. 00- 21.00- 22.00-23.00); – si celebrano nella stessa parrocchia più messe nella serata e nella prima parte della notte natalizia. In tal modo, la Messa celebrata a mezzanotte, dove ancora rimane, subisce una considerevole riduzione nel numero dei partecipanti. Questo si fa normalmente in nome di un’attenzione alle richieste della gente, ma che non tiene in debito conto i connotati della celebrazione del Mistero nell’alveo della tradizione storico-liturgico-teologica della Chiesa, che lo interpreta. È infatti la Chiesa che delinea le modalità celebrative della solennità natalizia e che le ha trasmesse nella sua secolare tradizione, modellandole su precise basi teologiche e bibliche. Ci si deve inanzittutto rendere conto che queste scelte porteranno nel tempo ad almeno quattro conseguenze, che in questa riflessione si cercherà di chiarire: – la perdita del valore biblico-simbolico della mezzanotte, che consente una omelia mistagogica al Mistero in linea con la tradizione patristica e secolare della Chiesa; – la restrizione della notte di Natale al solo momento puntuale della Messa, invece della più ampia estensione in una veglia orante, che santifica la notte santa; – l’abbandono del criterio della ‘coralità’, ossia che tutto il popolo partecipa alla celebrazione unica e non ripetuta della Messa della notte, criterio che sta alla base dei maggiori riti liturgici della Chiesa; – l’ esposizione della notte santa al ritorno di usi e costumi solo umani o pagani, che prenderanno il posto lasciato vuoto dai riti della Chiesa.

I VESPRI DELLE TENEBRE (prima parte)

GIOVANNI BELLINI – Cristo morto sorretto da due angeli (1460) – Tempera su tavola, 74 x 50 cm, Venezia

don Enrico Finotti

 

I          L’«Ufficio delle tenebre» nella  tradizione liturgica romana

Una delle tradizioni liturgiche più singolari e popolari nel complesso rituale della Settimana Santa, secondo il rito Romano, è la celebrazione simbolica del Tenebrae factae sunt nel contesto dei cosiddetti «Mattutini delle tenebre», come ancor oggi sono previsti dall’ Officium majoris hebdomadae (Vetus Ordo). Si tratta dell’Ufficio notturno (Ad Matutinum) e delle Lodi (Ad Laudes) dei tre giorni del Triduum sacrum, così come era computato nel Vetus Ordo: Giovedì, Venerdì e Sabato santo. Occorre ricordare che la Liturgia del Triduo sacro, in uso fino alla riforma liturgica del Vaticano II, conserva la forma più antica dell’Ufficio romano, quando ancora non erano subentrati elementi più tardivi come l’Inno e la dossologia terminale dei salmi. Ma qual è il motivo per il quale tale Ufficio è chiamato «delle tenebre»? Perché, dopo ogni salmo, si spegne uno dei ceri posti su uno speciale candelabro detto «saetta»: si tratta di una serie di quindici ceri, che vengono estinti durante la salmodia del Mattutino e delle Lodi. L’Ufficio si conclude nell’estinzione totale delle luci, ricordando l’evento evangelico dell’oscurità che avvolse il mondo alla morte del Signore. Un solo cero residuo rimane acceso: tolto dal candelabro e nascosto per qualche istante, ricompare di nuovo sull’altare per annunziare la risurrezione del Signore, luce che vince le tenebre del peccato. L’Ufficio, che in origine veniva cantato nel versante mattutino della notte, venne in seguito anticipato nella sera antecedente dei tre giorni santi: mercoledì, giovedì e venerdì. Il popolo cristiano vi partecipava numeroso e i fedeli restavano alquanto colpiti dalla forza del simbolismo.

Ecco il tempo adatto

26 febbraio 2020 Chiesa di Santo Anselmo Processione Penitenziale e Basilica di Santa Sabina Imposizione delle Ceneri

don Enrico Finotti 

L’antica tradizione liturgica romana dà grande importanza alla celebrazione della Statio. Si tratta di una solenne convocazione di tutto il popolo dell’Urbe in una chiesa di raduno (collecta) per poi raggiungere in processione la chiesa di stazione (statio), dove si celebra una actio liturgica sulla parola di Dio o anche la stessa Eucaristia. Tale celebrazione veniva chiamata anche «litania» in quanto il canto delle litanie dei Santi e dei salmi penitenziali caratterizzavano la processione. Nel tempo di Quaresima le Stationes erano a ritmo quotidiano e il Messale (fino al 1962) ne annotava ogni giorno la chiesa interessata. Se la tradizione stazionale é ormai da secoli scomparsa nella sua
forma più popolare e solenne, tuttavia ancor oggi la pratica viene ricordata e riproposta, almeno in forme più ridotte, nel vigente Messale Romano e in altri libri liturgici e documenti magisteriali, che ne danno indicazioni più specifiche.

La disciplina liturgica (terza parte)

VI      La disciplina musicale

Dal regime della disciplina liturgica non possiamo escludere una parte essenziale della liturgia stessa, che è la musica sacra. Anche questa deve sottostare a precise regole che ne assicurino l’identità di musica al servizio della liturgia e ne garantiscano l’efficacia nell’educazione spirituale del popolo di Dio. Possiamo indicare alcune leggi basilari:

– La musica sacra parte necessaria della liturgia solenne

La Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium afferma: «Il canto sacro legato alle parole è parte necessaria o integrante della liturgia solenne» e prosegue: «L’azione liturgica riveste una forma più nobile quando i divini Uffici sono celebrati solennemente in canto, con i sacri ministri e la partecipazione attiva (actuose) del popolo» (SC 112). Da questa affermazione si desume che non è secondo la mente della Chiesa escludere la forma della liturgia solenne in favore di una permanente recitazione feriale. Il popolo di Dio ha diritto di avere nelle domeniche e nelle feste dell’anno liturgico la celebrazione solenne della liturgia secondo i vari gradi di solennità. Da ciò nasce la necessità di una adeguata abilitazione al canto sacro del sacerdote, dei ministri e della schola cantorum. Un costume secolarizzato e un ritmo funzionalistico porta facilmente ad una liquidazione ingiustificata della solennità con gravi danni all’aspetto contemplativo del culto.

La disciplina liturgica (seconda parte)

IV     La disciplina eucologica

La disciplina eucologica riguarda le preci ed implica la loro conoscenza, la loro tipologia, il loro uso liturgico, i loro contenuti teologici, la loro forma letteraria. Sono aspetti molteplici che il sacerdote e tutti quelli che a diverso titolo curano la liturgia devono approfondire.

 

– La conoscenza dei testi liturgici

E’ innanzitutto necessario aver una conoscenza personalizzata dei testi eucologici. Non raramente infatti si celebra pronunziando testi mai veramente studiati e restando alquanto estranei ai loro contenuti teologici. Una celebrazione abitudinaria, acquisita spontaneamente per contatto d’ambiente e mai fatta propria con una personale elaborazione, potrebbe portare verso una facile creatività proprio perché non si conosce l’oggettiva ricchezza del testo sacro e perciò non se ne può apprezzare il valore. Naturalmente non è possibile accostarsi con animo sereno al testo liturgico se in modo pregiudiziale non si accetta il carattere tradizionale della liturgia e il fatto che essa sia consegnata e debba essere ricevuta dalla Chiesa che la garantisce; se non si concepisce l’indisponibilità delle preci liturgiche che non possono essere manipolate da privati per quanto teologicamente competenti e spiritualmente eccellenti: nella liturgia, infatti, il soggetto orante è Cristo-capo indissolubilmente unito alla Chiesa, suo mistico corpo. Senza questo principio basilare l’eucologia liturgica viene liquidata in partenza e sostituita con la creatività privata.

La disciplina liturgica (prima parte)

La Costituzione liturgica del Concilio Ecumenico Vaticano II, Sacrosancum Concilium, dichiara in modo perentorio:

Regolare la sacra liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede apostolica e, a norma del diritto, nel vescovo.

In base ai poteri concessi dal diritto, regolare la liturgia spetta, entro limiti determinati, anche alle competenti assemblee episcopali territoriali di vario genere legittimamente costituite.

Di conseguenza assolutamente nessun altro, anche se sacerdote, osi, di sua iniziativa, aggiungere, togliere o mutare alcunché in materia liturgica (SC 22).

E il Codice di Diritto Canonico ribadisce la medesima disciplina col rigore della forma giuridica (cfr. CIC, Can. 838).

LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA DI MEZZANOTTE (3)

Raffaello Sanzio, Madonna del Velo (o di Loreto)

La Messa di mezzanotte presenta alcuni elementi rituali ed eucologici singolari, che la arricchiscono alquanto e la caratterizzano, attirando l’attenzione del popolo di Dio. E’ necessario che, non solo teoricamente, ma anche di fatto, essa risulti con chiarezza il vertice e la meta dell’intera celebrazione. Quindi si dovrà svolgere con la dovuta solennità, senza decurtarla nelle sue parti specifiche a motivo della stanchezza dei ministri e del popolo. Questa tentazione è ricorrente anche nella stessa Veglia pasquale, nella quale la liturgia eucaristica tende ad essere ridotta ad un’appendice e ad essere indebitamente semplificata e affrettata. Si dovrà ponderare l’insieme dell’intera celebrazione, dosando le varie parti ed evitando che nella veglia (lucernale e salmodia) il coro e il popolo siano così impegnati da non poter più sostenere nel modo dovuto la solennità e la tipicità rituale della Messa di mezzanotte.