
III Rapporto tra il Credo del popolo di Dio di Paolo VI e la Professione di fede tridentina
L’atto di magistero del papa Paolo VI ha un precedente e una singolare analogia nella Professione di fede tridentina, formulata dal papa Pio IV nella Bolla Iniunctum nobis (13 nov. 1564), dopo la chiusura del Concilio di Trento. Con tale testo il Papa intendeva raccogliere in estrema sintesi la dottrina dogmatica definita nel Tridentino in modo che soprattutto il clero e i teologi potessero aderire pienamente e facilmente al dogma della fede e contrastare con efficacia l’eresia ormai dilagante. Alla testo integrale del Credo niceno-costantinopolitano seguivano alcuni asserti dottrinali specifici in ordine ai dogmi appena definiti nel Concilio tridentino e negati dagli eretici. Il Papa ritenne che, data la vastità e l’insidia dell’eresia, occorresse una Professio fidei più dettagliata per troncare alla radice quelle verità che venivano negate. Nella Professione di fede tridentina, quindi, i fedeli avevano una precisa norma per la retta recezione del Concilio tridentino e uno scudo di difesa contro l’eresia. Dopo il Concilio Vaticano I la Professio fidei Tridentina venne integrata con i brevi inserti relativi alle nuove definizioni dogmatiche (infallibilità e primato del Romano Pontefice). La medesima logica fu assunta anche dal papa san Pio X, che, per contrastare efficacemente il modernismo, impose il Giuramento antimodernista, che riproponeva sostanzialmente gli asserti dogmatici definiti nel Concilio Vaticano I, ma non recepiti, anzi rigettati dai modernisti. Ebbene analogamente il papa Paolo VI a tre anni dalla chiusura del Concilio Vaticano II si trovò nella necessità di promulgare un’ampia e dettagliata Professio fidei con il medesimo intento che ebbe il papa Pio IV dopo il Tridentino e san Pio X nella crisi modernista successiva al Vaticano I. Possiamo tuttavia rilevare che, mentre la Professio fidei Tridentina si limitava ad addizioni aggiunte al testo integrale dell’antico Credo niceno-costantinopolitano, contrastando gli errori dottrinali bene individuati, la Professio fidei di Paolo VI abbraccia l’intero testo del Credo niceno-costantinopolitano, commentandone ogni sua parte. Ciò fa pensare. La crisi postconciliare si presenta con una tale vastità e profondità che nessun articolo della fede cattolica ne é al riparo. Paolo VI, infatti, percepiva con intima sofferenza il grande pericolo insorgente per l’intero complesso della Fede, quando nella Esortazione apostolica Quinque iam anni (8 dic. 1970) scriveva:
Mentre il silenzio avvolge a poco a poco alcuni misteri fondamentali del cristianesimo, vediamo delinearsi una tendenza a ricostruire, partendo dai dati psicologici e sociologici, un cristianesimo avulso dalla tradizione ininterrotta, che lo ricollega alla fede degli Apostoli, e ad esaltare una vita cristiana priva di elementi religiosi[1].