IL CREDO DEL POPOLO DI DIO – terza parte

Sessione solenne del Concilio Ecumenico Vaticano II

V       Il grado di autorità magisteriale del Credo del popolo di Dio pronunziato da Paolo VI

Una grande sicurezza per tutti i pastori e i fedeli cattolici é data dal notevole grado di autorità che tale Professio fidei esibisce. Ciò risulta dall’espressa intenzione magisteriale del Papa e dalla inusitata solennità del protocollo che la presenta. Infatti si dice: «Noi sappiamo che le anime attendono la parola del Vicario di Cristo, e Noi veniamo incontro a questa attesa con le istruzioni che normalmente amiamo dare. Ma oggi Ci si offre l’occasione di pronunciare una parola più solenne»[1].

E il protocollo introduttivo recita: « A gloria di Dio Beatissimo e di Nostro Signore Gesù Cristo, fiduciosi nell’aiuto della Beata Vergine Maria e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, per il bene e l’edificazione della Chiesa, a nome di tutti i Pastori e di tutti i fedeli, Noi ora pronunciamo questa professione di fede, in piena comunione spirituale con tutti voi, Fratelli e Figli carissimi». E’ vero che il Papa chiarisce che non si tratta di «una definizione dogmatica propriamente detta», tuttavia pronunzia la Professio fidei con l’autorità del Magistero ordinario e universale della Chiesa, che pure é coperto dall’infallibilità. L’intero popolo di Dio, quindi, trova nella Professio fidei pronunziata da Paolo VI a ridosso del Concilio Ecumenico Vaticano II una sicura chiave interpretativa del dogma della fede in perfetta continuità con la Tradizione apostolica, la successione ininterrotta dei Sommi Pontefici e i decreti dei precedenti Concili ecumenici. Veramente in questa provvidenziale Professio Fidei risplende in tutta la sua luce ciò che semper et ubique la Chiesa ha creduto e crede pur con quegli apporti dottrinali che non possono essere accolti e intesi se non nello sviluppo coerente ed organico che é intrinseco al dogma cattolico, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano I: «Crescano pure, quindi, e progrediscano largamente e intensamente, per ciascuno come per tutti, per un sol uomo come per tutta la Chiesa, l’intelligenza e la scienza, la sapienza, secondo i ritmi propri a ciascuna generazione e a ciascun tempo, ma esclusivamente nel loro ordine, nella stessa credenza, nello stesso senso e nello stesso pensiero (Vincenzo di Lerins, Commonitorium, 23, 3)»[2].

VI     L’importanza del Credo del popolo di Dio di Paolo VI riguardo alla riforma liturgica

Al termine di questa disanima si comprende quanto la Professio fidei di Paolo VI, pronunziata dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, abbia una grande importanza anche riguardo alla riforma liturgica e alla sua retta applicazione. Infatti basterebbe riflettere soltanto sulla dettagliata esposizione del dogma eucaristico per avere una solenne conferma della fede immutata riguardo al valore sacrificale della Messa, alla necessità dell’adorazione davanti alla presenza «vera, reale e sostanziale» del Signore, alla proprietà del termine teologico «transustanziazione» per la formulazione adeguata del dogma, al silenzio adorante e al valore del tabernacolo «il cuore vivente di ciascuna delle nostre chiese»[3]. Tutto questo si oppone alla veemente secolarizzazione e all’estinzione del sacro che travolge attualmente la liturgia. Coloro che obbediscono nella fede agli asserti della Professio fidei del popolo di Dio non possono che essere confermati nella fedeltà al culto santo, secondo le norme del diritto liturgico sempre osservato nella vera tradizione liturgica della Chiesa. La Professio fidei difende e promuove con lo stile incisivo essenziale e geniale di Paolo VI la sacralità della liturgia secondo le note parole del Concilio: «Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che é la Chiesa, é azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado» (SC 7).

Ed ecco che anche la nostra Rivista, in questo numero che corona il decimo anniversario della sua fondazione (2009-2019), nel riproporre il Credo del popolo di Dio, vuole contribuire a ritrovare quella comunione tra le diverse componenti ecclesiali che consenta, nell’orizzonte di una retta interpretazione del complesso dei documenti conciliari, una serena pacificazione degli animi anche riguardo alla liturgia, affinché i figli di Dio elevino concordi un culto santo, fedele al diritto liturgico conforme alla Tradizione apostolica e perciò gradito alla Maestà divina. Le accorate parole del papa Paolo VI nel discorso di promulgazione della Costituzione liturgica Sacrosanctum Concilium siano per tutti un salutare monito e un vigoroso orientamento: «Desideriamo che nessuno attenti alla regola della preghiera ufficiale della Chiesa con riforme private o riti singolari […] Nobiltà della preghiera ecclesiastica é la sua corale armonia nel mondo: nessuno voglia turbarla, nessuno offenderla»[4].

[1] Idem, in EnchVat, III, n. 542.

[2] CONCILIO VATICANO I, Costituzione dogmatica Dei Filius, cap. IV, in Oecumenicorum Conciliorum Decreta, EDB, 1991, p. 809.

[3] PAOLO VI, Omelia del 30 giugno 1968, in EnchVat, III, n. 562.

[4] PAOLO VI, Discorso a chiusura del secondo periodo del Concilio, 4 dic. 1963, in Ench Vat, I, n. 215*.

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