LA PENTECOSTE OGGI: IL COMPIMENTO DELLA PASQUA (seconda parte)

 

don Enrico Finotti

22 aprile 2018

La riforma liturgica del Concilio Vaticano II evidenzia nella Pentecoste il carattere di termine della cinquantena pasquale e privilegia il versante antecedente rivolto verso la Pasqua che l’ha inaugurata e che nel cinquantesimo giorno si compirà in pienezza[1]. Tale prospettiva totalmente pasquale accentua la preparazione (novena) e oscura il suo alone celebrativo successivo (ottava). La scelta non fu pacifica ed ebbe molte discussioni, tuttavia così fu stabilito[2]. La possibilità di prolungare la grande solennità nel lunedì e martedì successivi, oltre che assecondare radicate tradizioni di talune regioni della Chiesa, non estingue totalmente quella esigenza di continuità con i secoli precedenti, che ebbero sempre in grande considerazione la solennità della Pentecoste con la sua ottava.

Alla luce di questa breve carrellata storica è opportuno approfondire per cogliere la ricchezza di aspetti diversi e complementari, che si sono alternati nella disciplina liturgica nel corso dei secoli. La Pentecoste ha un duplice carattere[3]: da un lato è festa di chiusura della cinquantena pasquale, dall’altro è festa di apertura verso il tempo della Chiesa nell’attesa dell’ultimo ritorno del Signore. Le scelte della tradizione liturgica si sono diversificate in base all’accentuazione dell’uno o dell’altro aspetto. Se nell’epoca antica la Pentecoste era intesa come l’intera cinquantena, come estensione festiva della Pasqua, nei secoli successivi, mediante la creazione dell’Ottava a ridosso del gran giorno conclusivo, considerato ormai come un giorno solenne a se stante, la Pentecoste, appariva come l’inizio di una fase nuova della vita della Chiesa aperta al futuro e proiettata verso il mondo intero, tutta intenta nell’opera di evangelizzazione. La solennità porta quindi in sé stessa un duplice carattere: il compimento del mistero pasquale e l’inizio della missione evangelizzatrice nel mondo. Per questo, se è lecito scegliere un aspetto rispetto all’altro, non è saggio escluderne alcuno, ma considerare piuttosto come i due versanti della Pentecoste siano ugualmente portatori di aspetti singolari e complementari, ambedue interiori e consoni al mistero pentecostale. In questo giorno, infatti, si realizza la promessa del Risorto e discende lo Spirito Paraclito per l’opera di santificazione che scaturisce dalla Pasqua; al contempo in questo medesimo giorno la Chiesa muove i primi passi verso i confini della terra e inizia quel percorso storico che abbraccerà tutti i secoli ormai irreversibilmente orientati al ritorno glorioso del Signore. Chiusura e apertura sono quindi elementi indissolubili e ugualmente importanti per capire la Pentecoste. In tal senso si dovrà accettare con pari rispetto, sia la modalità antica – oggi nuovamente assunta – di chiudere la Pasqua col giorno cinquantesimo della beata Pentecoste, sia quella, che abbraccia molti secoli, secondo la quale il giorno di Pentecoste si prolunga nella sua Ottava[4].

Occorre anche considerare gli effetti conseguenti alle due impostazioni liturgiche. La Pentecoste senza ottava evidenzia certamente con più precisione il valore simbolico dei cinquanta giorni, essendo l’ultimo giorno della festa, ma al contempo la solennità in se stessa perde importanza, tendendo a diventare semplicemente l’ottava domenica di Pasqua. Questo fatto lo si può costatare nell’odierna prassi pastorale in cui la Pentecoste non ha più l’evidenza delle grandi solennità, quali Pasqua e Natale. Ad uno sguardo superficiale sembra che le tradizionali tre solennità maggiori siano ridotte a due (Pasqua e Natale) emergenti nell’anno liturgico proprio in virtù dell’Ottava che le prolunga. La scelta del nuovo calendario liturgico in tal senso ha contribuito ad una riduzione della Pentecoste, privandola di quegli elementi di evidenziazione, che nel precedente calendario erano certamente efficaci nell’innalzare il grande giorno dell’effusione dello Spirito[5]. Infatti, quando nel calendario liturgico, dopo la riforma delle rubriche (1960), si stagliavano solenni ed uniche le tre Ottave (Pasqua, Natale, Pentecoste)[6] era a tutti immediatamente evidente che tali feste costituivano i vertici assoluti e sovrani, emergenti su tutte le altre solennità e feste.

L’Ottava di Pentecoste[7], che fu celebrata dalla seconda metà del secolo VI fino al Vaticano II, oltre alla sua venerabile antichità e stabilità nei secoli, non era poi così estranea ad un retto simbolismo liturgico. Infatti, essa era un’ottava incompleta ed aperta (dalla domenica al sabato)[8]. In tal modo da un lato si consacrava il valore non soltanto delle otto domeniche pasquali, ma anche delle otto settimane pasquali, intendendo la settimana come un tutto aderente alla domenica, che la inizia quale suo primo giorno. Il fatto poi che l’ottava di Pentecoste, a differenza delle altre due ottave (Pasqua e Natale) fosse incompleta terminando appunto al sabato, affermava il mistero della stessa Pentecoste come un’ evento aperto e continuo, che si sarebbe concluso unicamente al termine della storia, quando col ritorno del Signore nella gloria l’ottava di Pentecoste si sarebbe effettivamente conclusa e con essa la consumazione piena del mistero pasquale. Il tempo per annum, infatti, rappresenta in qualche modo il tempo della Chiesa pellegrina nel mondo, che sotto il continuo influsso soprannaturale dello Spirito Santo, come in una perenne Pentecoste, cammina nei secoli, operando la santificazione dell’umanità, fino al compimento del Regno di Dio. In tal senso aveva un significato quanto mai opportuno e corretto anche la denominazione delle domeniche del tempo ordinario come domeniche dopo la Pentecoste. Esse infatti, realizzano soprattutto nei sacramenti quell’opera di santificazione che ebbe inizio con la Pentecoste e che continua nel tempo sotto la perenne epiclesi dello Spirito Santo. Il tempo della Chiesa è, infatti, un tempo pentecostale che proprio dal mistero della Pentecoste attinge continuamente la grazia che lo Spirito le infonde, fluendo senza sosta dal Risorto, che sta alla destra del Padre. Il ricorso ad un termine tecnico come domeniche per annum e tempo per annum rispetta certamente la dinamica dei primi stadi dell’Anno liturgico, quando la serie indifferenziata delle domeniche celebrava la totalità del mistero senza sottolinearne aspetti particolari, ma ciò potrebbe insinuare un carattere archeologico in riferimento ad una fase antica destinata ad essere superata nella logica dello sviluppo organico dell’Anno liturgico, caratterizzato proprio dalla relazione delle singole domeniche e tempi sacri con i misteri celebrati negli snodi portanti e determinanti della fisionomia dell’Anno liturgico sempre più definito e perfezionato.

Queste riflessioni hanno voluto mettere in luce come scelte diverse stabilite dalla Chiesa nei secoli non sono in contraddizione, ma rappresentano modalità liturgiche differenti, ma complementari, portatrici di aspetti diversificati, che arricchiscono la lettura simbolica della Pentecoste. In questa luce la comprensione della Pentecoste, come di ogni altra festa, non si esaurisce nella disciplina liturgica vigente, ma si carica di una ricchezza che può essere colta soltanto nelle successive tappe dello sviluppo storico ed anche dalla diversità dei riti legittimamente ammessi dalla Chiesa. Stabiliti i termini della questione si deve anche affermare con determinazione che nell’attuale riforma liturgica la Chiesa latina ha fatto delle scelte che devono essere da tutti accolte e rispettate nella concreta prassi celebrativa e non è lecito ad alcuno procedere a mutare quello che le vigenti leggi liturgiche stabiliscono a proposito del modo di celebrare oggi la Pentecoste.

[1] ANAMNESIS, ed. Marietti, 1988, vol. 6°, p. 145: “Per porre in rilievo la Cinquantina pasquale come un unico giorno di festa era necessario – e così si è fatto – sopprimere l’Ottava che diventava un controsenso. Il mistero pasquale viene in tal modo celebrato come un tutt’uno (morte, risurrezione, ascensione, invio dello Spirito), ma non si chiude definitivamente, aperto com’è alle prospettive della parusia”.

[2] BUGNINI, A., La riforma liturgica (1948-1975), CLV, Roma, 1983, p. 316, nota 38.

[3] RIGHETTI, vol. II, p. 312: “La festa della Pentecoste, se liturgicamente segna il termine della Quinquagesima, in realtà non finisce il mistero pasquale ma lo estende da Cristo alla Chiesa, la quale nella fiamma e nella luce dello Spirito santo dovrà, con l’opera dei suoi apostoli, sviluppare il regno universale di Cristo sulla terra”.

[4] ANAMNESIS, ed. Marietti, 1988, vol. 6°, p. 140: “Tenuto conto della psicologia umana, era perciò normale celebrare con maggior solennità l’ultimo giorno della Cinquantina. E’ bene comunque sottolineare che con la Pentecoste non si chiude definitivamente il Tempo pasquale nel senso che al mistero pasquale di Cristo fa seguito quello della Chiesa”.

[5] L’accentuazione della Pasqua e del Natale come solennità maggiori e la riduzione della Pentecoste a esclusivo complemento della Pasqua sono rese evidenti nel nuovo Calendario liturgico, che considera propriamente i due cicli: Pasqua-Pentecoste e Natale-Epifania. I fulcri celebrativi dell’Anno liturgico sono allora costituiti dalla Pasqua e dal Natale, mentre la Pentecoste viene totalmente relazionata al ciclo pasquale, priva ormai di un ruolo di presidenza su un ciclo specifico, che precedentemente era costituito dalle domeniche dopo Pentecoste.

[6] Con la riforma delle rubriche del 1960 ad opera di Giovanni XXIII furono soppresse tutte le altre ottave e conservate unicamente quelle relative alla tre maggiori solennità (Pasqua, Natale, Pentecoste). Ciò evidenziò con la massima efficacia il primato, incontestato in tutta la tradizione, delle suddette solennità.

[7] RIGHETTI, vol. II, p. 316: “In origine, con la festa di Pentecoste il ciclo pasquale era chiuso; di un’Ottava non troviamo parola prima della seconda metà del secolo VI…E’ vero che le Costituzioni Apostoliche inculcano di celebrare dopo Pentecoste hebdomadam unam, ma non sembra che questa pratica si sia molto diffusa…L’Ottava pentecostale venne aggiunta…per ricopiare la grande settimana di Pasqua”.

[8] RIGHETTI, vol. II, p. 318: “Circa il termine dell’Ottava, vi fu in tutto il medio evo grande disparità di usi liturgici. Roma e la maggior parte delle Chiese gallicane solevano in origine conchiudere la settimana di Pentecoste nel sabato successivo, com’era più esatto; altre invece nella Domenica, sull’esempio di Pasqua. In seguito, questo secondo costume generalmente prevalse, finché l’ufficio del giorno ottavo fu soppiantato dalla introduzione della nuova festa in onore della SS. Trinità”.

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