LA PENTECOSTE (prima parte)

don Enrico Finotti

L’Anno della fede ci invita  ad una più profonda conoscenza dei contenuti stessi della fede riassunti nel Credo e ad una più attenta considerazione del Catecumenato nel contesto dell’Iniziazione, quale riferimento permanente per una continua riscoperta dell’identità cristiana. Questo è stato l’intento dei due numeri pregressi della nostra rivista, che hanno trattato appunto del Credo e del Catecumenato[1]. Il tema della Pentecoste vuole completare il quadro teologico, ricordando che il Credo, senza l’epiclesi pentecostale dello Spirito Santo, rimane lettera morta e concetto senza vita, e anche l’itinerario catecumenale, senza l’interiore mozione dello Spirito, scade in un percorso burocratico, quasi un batter l’aria – come afferma l’Apostolo (1 Cor 9, 26) -, privo di illuminazione interiore e reale conversione. Il mistero della Pentecoste, al contempo soprannaturale e storico, è, dunque, evento imprescindibile e sempre attuale per una permanente riscoperta della fede. Anche l’Anno della fede, senza una sempre nuova irruzione dello Spirito, che rianima le ossa aride del popolo di Dio (Ez 37, 1-14), rimarrebbe una celebrazione superficiale e sterile.

La Pentecoste, infatti, è quella originale epiclesi dello Spirito Santo, che sta alle sorgenti stesse della Chiesa e che compenetra ogni successiva sua attività. E’ con la Pentecoste che lo Spirito Santo dà vigore alla Chiesa in analogia con quanto avvenne agli inizi della creazione, quando il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (Gen 2,7). Lo Spirito pervade con la sua potenza soprannaturale la proclamazione viva dell’annunzio apostolico[2]; vivifica con sicura efficacia salvifica i segni, le parole e i ministri dei Sacramenti; conduce con energia soprannaturale la sacra Gerarchia e protegge da ogni errore il suo Magistero; suscita la varietà dei carismi e ne garantisce la loro autenticità; custodisce infallibilmente e indefettibilmente il cammino del popolo di Dio fino alla fine dei secoli. La Pentecoste è quindi un fatto permanente ed interiore ad ogni manifestazione storica della Chiesa: lo Spirito Santo, infatti, è il motore invisibile degli organi costitutivi della Chiesa, l’agente principale delle sue celebrazioni liturgiche e il dolce ospite dell’anima di ogni battezzato che vive in grazia santificante. L’insegnamento, il sacramento e il ministero sono quindi interiormente intrisi dal celeste balsamo dello Spirito Santo.

La Pentecoste nell’Antico Testamento (il giorno cinquantesimo)

Nell’Antica Alleanza emergono tre grandi feste comandate da Dio stesso: “Tre volte all’anno farai festa in mio onore”(Es 23, 14)“…nella festa degli azzimi, nella festa delle settimane e nella festa delle capanne…” (Dt 16, 16). Queste tre principali feste furono in qualche modo la profezia delle tre grandi feste liturgiche della Nuova Alleanza: la Pasqua, la Pentecoste e il Natale. La Pasqua e la Pentecoste cristiane mantengono anche una perfetta coincidenza di data con le antiche festegiudaiche, mentre il Natale potrebbe essere adombrato nella festa delle capanne, come segno profetico del Verbo, che ha posto la sua tenda in mezzo a noi (Gv 1,14). La Pentecoste in particolare è la solennità del giorno cinquantesimo, che chiude le sette settimane dalla Pasqua. Anche l’estensione di queste feste nelle relative Ottave è un’eredità biblica, che evidenzia nell’insieme del complesso festale l’eminenza di tali  grandi solennità[3].

La Pentecoste nella Chiesa antica (i beati cinquanta giorni)

La caratteristica della Pentecoste cristiana rispetto a quella ebraica sta nelle parole di Tertulliano: “Noi invece, in conformità alla tradizione ricevuta, esclusivamente nel giorno della risurrezione del Signore dobbiamo guardarci non solo dal prostrarci in ginocchio ma da qualsiasi comportamento e da qualsiasi gesto cultuale che esprima angoscia e dolore…Lo stesso facciamo anche durante il periodo di Pentecoste; lo trascorriamo, a diversità degli altri periodi dell’anno, con uguale solennità e viviamo nella gioia”[4] Mentre gli Ebrei celebravano soltanto il giorno conclusivo della festa delle settimane, i cristiani celebrano come fosse un’unica festa la beata cinquantena. Il carattere festivo dell’intero tempo pasquale costituiva la novità liturgica dei cristiani: era il tempo della permanenza del Risorto con i suoi discepoli, che si sarebbe concluso con la grandiosa e mirabile effusione dello Spirito Santo. Questa beata pentecoste emergeva sovrana sul ciclo annuale e, insieme con la Quaresima che la preparava, fu il primo nucleo del nascente Anno liturgico cristiano. L’assenza del digiuno, tanto importante nell’antichità, e la preghiera in posizione  eretta, erano i segni eloquenti che connotavano la grande e protratta festa pasquale. Per questo ancor oggi la Chiesa afferma:“I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla domenica di pentecoste, si celebrano nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come la grande domenica” [5].

La Pentecoste nel Medioevo (solennità con ottava)

Alla fine dell’epoca antica[6] e nel corso dell’alto Medioevo si impone sempre più il carattere festivo del giorno di Pentecoste, considerato come festa rilevante in se stessa in relazione al mistero che in questo preciso giorno si compì. In tal modo la domenica di Pentecoste si staglia nella sua singolarità rispetto alle altre domeniche di Pasqua e si configura come giorno liturgico di grande solennità, oscurando in parte il suo carattere di chiusura della beata cinquantena e rallentando la sua relazione alla Pasqua[7]. (continua)

 

[1] Cfr. Rivista: Liturgia ‘culmen et fons’: Il Credo dicembre 2012 – anno 5 n. 4; Il Catecumenato, marzo 2013 – anno 6 n. 1.

[2] ANDRONIKOF, vol. II, p. 81, nota (23): “Tutta la verità è resa accessibile mediante la Pentecoste”; p. 155: “A partire dalla Pentecoste, i discepoli ricevono non solo il potere spirituale di accedere a tutto il mistero, ma anche quello di riconoscere il contenuto autentico delle parole del Lògos e quindi di proclamarle e di spiegarle”.

[3] La Pasqua si estende per sette giorni (Es 23, 14-19. 34, 18; Lv 23, 5-8; Nm 28, 16-25; Dt 16, 1-8); la Pentecoste risulta di un solo giorno (Es 34, 22-23; Lv 23, 15-22; Nm 28, 26-31); la Festa delle Capanne si estende per otto giorni (Lv 23, 33-36. 39-44; Nm 29, 12-39).

[4] TERTULLIANO, La preghiera, ed. Paoline, 1984, p. 273.

[5] Congregazione per il Culto Divino, Preparazione e celebrazione delle feste pasquali – Libreria Editrice Vaticana, 1992, p. 63, n. 111

[6] RIGHETTI, vol. II, p. 312: “Il primo sviluppo della solennità pentecostale, che ne accentuò l’autonomia liturgica, si ebbe dal costume che, sul principio del IV secolo, comincia ad imporsi, quasi come legge, di riservare alla vigilia notturna di questa solennità il conferimento del Battesimo a quelli che per qualche motivo non avevano potuto riceverlo nella notte di Pasqua”.

[7] CONSILIUM AD EXSEQUENDAM CONSTITUTIONEM DE SACRA LITURGIA, Commentarius in annum liturgicum instauratum, 21 martii 1969, in Enchiridion Vaticanum, EDB, 1990, vol. S1, n.266: “Ma quando si comunciò a celebrare la festa di Pentecoste unicamente come l’anniversario della discesa dello Spirito santo sugli apostoli (nel VII secolo) e l’unione vitale del giorno di pentecoste con il tempo pasquale andò in dimenticanza, anche alla festa di pentecoste fu assegnata un’ottava”.

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